Il sistema giudiziario egiziano ha un’altra possibilità per dimostrare che non ha del tutto perso la sua credibilità e indipendenza.
Sabato 9 maggio è prevista la prima udienza (rinviata dal 4 aprile) per l’uccisione di Shaimaa al-Sabbagh, colpita a morte il 24 gennaio dalle forze di sicurezza durante una manifestazione per ricordare le centinaia di “martiri della rivoluzione del 25 gennaio”, che nel 2011 spodestò Hosni Mubarak.
Shaimaa al-Sabbagh, insieme a una trentina di persone, stava prendendo parte alla manifestazione indetta dal Partito dell’alleanza popolare socialista, una formazione di sinistra. Camminavano sul marciapiede per non ostruire la circolazione stradale, dirette a piazza Tahrir: alcune reggevano lo striscione del partito, altre avevano in mano cartelloni e fiori.
Le forze di sicurezza che presidiavano gli ingressi di piazza Tahrir bloccarono i manifestanti in via Talaat Harb e, senza preavviso, iniziarono a lanciare lacrimogeni e a sparare coi fucili da caccia.
Shaimaa al-Sabbagh, secondo quanto dichiarato dal direttore dell’Ufficio di medicina legale, venne colpita dai pallini da caccia alla schiena e alla testa, da una distanza di otto metri. Inizialmente il governo negò ogni responsabilità. In seguito, un agente delle forze di sicurezza è stato incriminato per “percosse, ferite o uso di sostanze dannose che provocano la morte”.
Sabato, tuttavia, alla sbarra non ci saranno i funzionari dello stato coinvolti nella morte di Shaimaa al-Sabbagh ma 17 testimoni oculari.
Tra i 17 imputati c’è Azza Soliman, fondatrice del Centro di assistenza legale alle donne. Il 24 gennaio era in un bar insieme a familiari e amici. Quando la manifestazione passò davanti al locale, ne uscì per andare a vedere. E ciò che vide (le forze di sicurezza lanciare gas lacrimogeni e sparare ad altezza d’uomo, un corpo a terra) lo volle riferire ai giudici.
Un secondo imputato è il medico che per primo soccorse Shaimaa al-Sabbagh, un terzo è il passante che sollevò il corpo della donna insieme a suo figlio Bilal, per portarlo in un posto più sicuro.
Difensori dei diritti umani, semplici passanti, un medico, manifestanti di sinistra. Ciò che li accomuna è che hanno voluto denunciare alla magistratura cosa avevano visto. Uno di loro, quando si è presentato a testimoniare, si è visto addirittura accusare della morte di Shaimaa al-Sabbagh. La ridicola accusa è stata poi ritirata.
I 17 imputati – testimoni devono rispondere di “manifestazione non autorizzata” e rischiano fino a cinque anni di carcere.