Un breve saggio dall’atmosfera orwelliana, dove i protagonisti assoluti sono i cani guardiani delle sorti della Germania dell’Est, capace, con la sua toccante semplicità, di immergere il lettore nell’atmosfera quotidiana che si respirava in un’intera nazione. Si tratta de La frontiera dei cani, di Marie-Luise Scherer (pubblicato in Italia da Keller editore, con la prefazione di Paul Nizon e tradotto da Anna Ruchat con le studentesse della Fondazione Milano Lingue: Cristina Galimberti, Anna Claudia Iacopini, Noemi Lattaruolo e Federica Tortiello).
È una sorta di resoconto di new journalism che si addentra nella ricerca antropologica, svelando le debolezze, le sicurezze e le abitudini di allevatori di confine, di guardie, militari, contadini e fantasmi di fuggiaschi. L’originalità dell’opera sta nel tracciare un percorso di spiazzante quotidianità marginale, con l’utilizzo dei cani, per raccontare la Ddr.
“Il rapporto di Pandosch con gli animali era, come per Nehls, di natura professionale. La sua relazione con loro era improntata al mero accudimento. Ma mentre Nehls mostrava una totale indifferenza verso tutti gli animali, Pandosch faceva eccezione per i pastori tedeschi. Per lui i cani erano sovrani purché avessero un’indole e un aspetto impeccabile (…) Il vero gioiello di Pandosch, ovviamente un pastore tedesco, veniva chiamato Bufalo. Era un velocissimo animale nerastro che aveva già fatto servizio come cane da tracciato nel reparto Utecht sul lago di Ratzeburg. Il modo in cui se l’era procurato valeva senz’altro un paio d’anni a Bautzen, per non parlare della punizione che sarebbe toccata a Herbig, il soldato che lo aveva aiutato.”