Mattia Sangermano è il burattino suo malgrado usato da media fintamente stupiti per distrarre l’opinione pubblica dai contenuti fin troppo condivisibili di chi, pacificamente e da anni, si batte contro questa grande parata che prende il nome di Expo.
La premessa è d’obbligo: quei trecento (o cinquecento) barbari scesi a Milano per rompere e imbrattare i simboli del male, per stare alle loro parole d’ordine (banche, hamburger e bevande zuccherate), andavano probabilmente fermati prima, sicuramente andrebbero puniti ora. Noi stiamo dalla parte opposta alla violenza, lo siamo sempre stati. Una condanna senza se e senza ma.
Ma il punto, qui, è un altro, e poco importa se ora tutti parleranno di vetrine da riparare e negozianti da risarcire. Del bell’esempio di cittadini indignati che scendono in strada a ripulire per l’amore verso una città, la propria, che non si vuole consegnare alla violenza, di qualunque colore essa sia.
Il punto da cui ripartire, a mente fredda, sono i cento ettari di terreni agricoli sottratti per sempre ad un uso in linea con lo slogan della kermesse “nutrire il pianeta, energia per la terra”, e consegnati a speculatori e professionisti da grandi opere, sul cui operato la magistratura nelle scorse settimane ha messo giustamente gli occhi addosso, lasciandoci presagire un futuro prossimo venturo di nuovi scandali e mazzette.
Un’area di 1 milione di metri quadrati di cui nessuno sa cosa accadrà dopo, tra sei mesi. Di una “messa in scena” in cui uno dei convitati di pietra è proprio quella povertà che si pretende di combattere. Quegli uomini e quelle donne che muoiono in mare alle porte del nostro impero inospitale perché anche oggi, come ieri e ieri ancora, non potranno “consumare un pasto degno”, per dirla con le parole di Papa Francesco.
Padiglioni fantasmagorici, fatti per stupire, imbambolare i visitatori (20 milioni?!?). Luci, alberi della vita, pareti coltivate, orti sul cemento… Fiction, insomma. Che ci restituisce l’immagine di un mondo e di un modello che non ha più spazio se non quello, vigliacco, dell’autocelebrazione. Raccontarsi e raccontare un futuro monotematico, retorico, vile.
Ma le quinte di cartapesta di questo spettacolo fasullo vengono giù, una dopo l’altra, e non basteranno gli attacchi anti-gufi di un Premier che non ammette repliche alla (sua) verità. Dovremo avere pazienza, umiltà, lungimiranza. Continuando a sperimentare spazi e strumenti di comunità altre. No-expo, certo. Capaci però di affiancare al no la costruzione di un sì alternativo e pacifico. Lento e coinvolgente. Concreti e felici del nostro cambiamento quotidiano. Con i piedi per terra, ben sapendo Che cosa c’è sotto, per citare il bel libro di Paolo Pileri edito da “Altreconomia”.