Finita la buriana intorno all’Expo, ripuliti i muri di Milano dagli sfregi di una manifestazione politicamente inutile (ci vuol altro a mettere in crisi un governo democristiano!), restano molti dubbi invece sull’utilità dell’Expo.
Le esposizioni universali sono retaggio di un passato remoto, quando ancora l’oggetto “fiera” rappresentava la tecnologia multimediale immersiva più avanzata per attirare, informare, creare relazioni e vendere. La gente era disposta a fare centinaia, perfino migliaia di chilometri per poter accedere a quello spettacolo. Ovvero alla spettacolarizzazione delle merci, per dirla alla Baudrillard.
Oggi siamo nell’era di Internet. Non occorre più spostarsi per fare esattamente le stesse cose. La merce e l’informazione vengono direttamente a noi e possiamo fruirne e interagire in rete. Che senso ha allora continuare a tenere in vita questo genere anacronistico di archeologia quando, casomai, varrebbe la pena di spostarsi solo per visitare beni archeologici veri?
Tutto quello che si vede all’Expo non è affatto unico e nemmeno irripetibile: possiamo acquistarlo online, possiamo vederlo tutti i giorni. Anche il tema è inutile, visto che l’approccio alla questione del cibo e della nutrizione è meramente espositivo e non viene dato alcun contributo culturale e politico al tema che sovrasta tutto: la prossima imminente guerra mondiale, che sarà appunto quella del cibo.
Cosa diavolo c’entra, infine, la lunga sfilza di sponsor che poco hanno a che fare con la tematica dell’Expo? Personalmente non andrò a questa enorme, inutile, Disnelyland della politica renziana. Voglio però ricordare che, proprio nella civiltà dei consumi, i consumatori hanno ancora un’arma potentissima a disposizione: la possibilità di scegliere. Che comprende anche la possibilità di boicottare.
Per questo, come dicevo all’inizio, anche i “No-Expo” sono inutili. Almeno quanto lo è la fiera dell’inutilità contro cui manifestano.