Se da una parte si registrano code per accedere agli spazi espositivi più "ricchi", dall'altra a causa di ritardi nelle spedizioni, pulizie non effettuate, difficoltà burocratiche e mancanza di personale diverse aree tematiche non hanno ancora aperto i battenti: "Scarsa assistenza da parte degli organizzatori". Il commissario Giuseppe Sala: "Il problema è che questi Paesi stanno facendo fatica per fare arrivare gli allestimenti. Tutto sarà risolto in 10 giorni". Ma le Comore: "Noi apriremo solo dopo il 20 maggio"
Accanto alla giraffa in legno l’addetto dello spazio della Guinea tiene la testa sul bancone. Sembra dormire. Del resto qui hanno aspettato tutta la notte gli oggetti da esporre. Ma a cinque giorni dal via dell’Expo gran parte del carico non è ancora arrivato. E l’accoglienza poco ortodossa dei visitatori? Niente di male, tanto qui al cluster di frutta e legumi arrivano in pochi, come negli altri cluster, le aree tematiche condivise da più paesi. Lo stesso problema della Guinea c’è l’ha lì accanto la Repubblica Democratica del Congo: “Quello che è già esposto è stato portato con una valigia – spiega Ruggiero Martino, responsabile Promozione e servizi alle imprese della Camera di commercio Italafrica – il resto degli oggetti da esporre sono a pochi chilometri da qui, al deposito della Db Schenker. Ma non sappiamo quando ce li porteranno”. Db Schenker è il corriere cui Expo ha affidato l’appalto per i trasporti da molti Paesi partecipanti fin dentro al sito di Milano-Rho. Anche i due ragazzoni del Camerun parlano di problemi di responsabilità di Expo: i loro scaffali sono ancora vuoti, cosa non rara nei pochi spazi aperti nell’area dedicata a cacao e cioccolato.
Nei cluster la festa di Expo non è ancora iniziata. Qui non ci sono le code che invece si vedono fuori da molti padiglioni. Quello del Brasile per esempio, dove la gente aspetta di camminare su un enorme letto fatto di amache. O quello del Messico, dove un ragazzo invita a fermarsi chi passa per il decumano: “Non vi preoccupate, la coda dura solo pochi minuti”. Nei cluster tutto questo arriverà. Il commissario unico Giuseppe Sala invita tutti a essere comprensivi e la butta sulle difficoltà dei Paesi stessi: “Il problema – sostiene – è che questi Paesi, che spesso non sono ricchi e vengono da molto lontano, stanno facendo fatica per fare arrivare gli allestimenti. Noi li stiamo aiutando”. Qualcuno in effetti ammette le proprie responsabilità. Nello spazio del Senegal, cluster delle zone aride, hanno uno scaffale già pieno di borse e su quello che manca non danno la colpa a nessuno: “La responsabilità dei ritardi è nostra”. Così in quello del Venezuela (cereali e tuberi), dove le installazioni con ologrammi sono pronte e mancano solo le brochure informative: “Non sono ancora arrivate, ma Expo non c’entra”.
Solo che poi, girando un po’, si finisce alle Comore, cluster ‘Isole, Mare e cibo’, e anche qui si lamentano dell’organizzazione di Expo, visto che la loro merce è ancora ferma in Tanzania. “La nostra inaugurazione sarà dopo il 20 maggio”, dicono. Parole che rischiano di rendere vane quelle di Sala, che promettono invece i cluster “tutti aperti entro dieci giorni”. Di lavoro da fare ce n’è ancora molto. “Sono arrivati a pulire solo oggi”, si lamentano nell’area del Gambia (frutta e legumi). Loro hanno affittato gli attrezzi della cucina da un’azienda segnalata da Expo, ma nessuno si è ancora fatto vivo per installarglieli: “E’ due giorni che chiamiamo per avere un appuntamento, ma non riusciamo a farli venire”. Dove si dovrebbero esporre cereali e tuberi diversi spazi sono ancora chiusi. “Resina fresca, vietato l’accesso”, è l’unica informazione che dà un cartello appeso alla porta del Congo.
Il cluster messo meglio è quello del riso, ieri l’hanno pure inaugurato. Nello spazio della Cambogia tutto pare ok: un buddha nero accoglie i visitatori nella prima stanza, poi si passa in quello che ricorda un bel negozio di souvenir. Ma a pochi passi sono ancora vuoti tutti gli scaffali di Sierra Leone e Myanmar. Il Bangladesh sembra a posto ma, se chiedi all’operation manager Md Abdul Matin, ti spiega che per ora non possono cucinare i loro piatti tipici perché i cuochi non sono ancora arrivati: “L’ambasciata italiana in Bangladesh non ha ancora concesso i visti. Non c’è nessuna priorità per Expo. Alle altre esposizioni questo non capitava”. E anche qui alcuni oggetti da esporre non ci sono ancora, “per colpa del corriere di Expo”, dice.
Le lamentele tocca farle presenti a Sala, lì fuori per l’inaugurazione: “Molti hanno portato le merci al corriere non imballate – sostiene – il corriere le trasporta, non deve imballarle. Il problema però non è di chi è la responsabilità. Adesso bisogna muoverci e stiamo cercando di fare arrivare tutto il prima possibile”. Per questo Expo sta organizzando per diversi paesi trasporti via aerea anziché via mare. “Che ci siano problemi ci sta, non posso dipingere un mondo perfetto. Vediamo le cose positive”. E di cose positive se ne vedono. Come i visitatori che a naso in su ammirano i padiglioni, comprese tantissime scolaresche. O come i militari che hanno portato in spalla tre disabili perché in mattinata s’è rotto un ascensore. Già, gli ascensori. Ce ne sono duemila nel sito. In uno di questi il primo giorno è rimasto bloccato il vice ministro Andrea Olivero. Cose che capitano. Quello della Guinea Equatoriale, si lamenta il direttore dello spazio Jeronimo Nsue Asumu Nchama, è fuori uso sin dall’inizio: “Stamattina sono venuti i tecnici. Ma ancora niente”.
@gigi_gno