Questo è ciò che mi disse un mio professore il secondo anno di università. Teneva il corso di riabilitazione pediatrica ed era un fisioterapista che, negli anni passati, dopo una lunga esperienza di cooperazione in Albania, aveva lavorato per l’associazione di Gino Strada nei territori palestinesi falcidiati dalla guerra ed in Cambogia, dove le mine sono ancora un problema primario. Ci introdusse una branca particolare della riabilitazione neurologica infantile, ‘L’Esercizio Terapeutico Conoscitivo’.
Ieri, dopo più di 10 anni, l’ho incontrato di nuovo, per caso, e ci siamo fermati a chiacchierare, stavolta da colleghi. È stato così che ho scoperto dell’esistenza della sua nuova associazione di volontariato, Rehab4Us Onlus. Stefano Desiderioscioli, così si chiama il mio ex professore, ha fatto suo il principio fondante di Emergency e lo ha voluto applicare alla sua professione. Negli ultimi decenni la riabilitazione ha avuto, infatti, una grande evoluzione grazie ai nuovi studi, soprattutto neurofisiologici, e su questi studi si sono sviluppati nuovi approcci riabilitativi, come quello che usa Stefano che, allo stato attuale, alla luce delle nuove conoscenze, è chiamato “Riabilitazione Neurocognitiva”.
Come tutti sappiamo queste tecniche innovative, che mirano alla qualità delle cure, sono appannaggio soltanto dei paesi del primo mondo, spesso nemmeno di tutti i suoi cittadini ma solo di quelli che se le possono permettere. A Stefano, esperto di riabilitazione nei paesi in via di sviluppo, fu subito chiaro come anche la riabilitazione non facesse eccezione e si ritrovò, quindi, nella condizione di dover scegliere tra l’utilizzare un approccio terapeutico che qui in Italia avrebbe usato con difficoltà e l’abbandonare la sua attività di volontariato. Pensando che fossero impraticabili entrambe le strade, decide quindi di crearsi una terza opzione e fonda l’associazione, con la quale ha già iniziato a portare in giro per il mondo una cultura riabilitativa di prim’ordine e, allo stesso tempo, economicamente sostenibile, che permetterà alle persone del luogo di essere, in futuro, autosufficienti e di prodursi autonomamente i sussidi necessari. L’associazione, infatti, offre gratuitamente, oltre alla cura, il proprio contributo didattico e la struttura sanitaria del luogo si impegna, a sua volta, a produrre lavori di ricerca su temi specifici precedentemente concordati con gli operatori della associazione.
Ma c’è un altro elemento che mi ha interessata ulteriormente nel progetto di Stefano. A seguito delle esperienze già avute e ai dati riabilitativi raccolti, sono risultate differenze tra i vari Stati per quanto riguarda l’efficacia degli esercizi proposti, il che evidenzierebbe come il contesto socio-culturale influenzi non poco l’esito dell’intervento riabilitativo. E questo è l’oggetto di studio della ricerca che l’Associazione sta portando avanti, basandosi proprio sulle differenze che emergono riguardo, per esempio, la gestione del dolore, del vissuto corporeo e della capacità di descrivere ciò che si prova durante gli esercizi. In pratica viene preso in considerazione anche l’aspetto ‘antropologico’ dell’intervento riabilitativo.
L’associazione Rehab4Us Onlus è nata poco più di un anno fa ma ha già all’attivo due progetti, uno in Tanzania e uno in India. Il prossimo, questa volta in Brasile, partirà non appena saranno raggiunti i fondi necessari.
Nel panorama di nichilismo e rassegnazione generale che si respira in questo paese, ho pensato che potesse essere motivo di speranza e, perché no, di orgoglio, il venire a conoscenza di questo bell’esempio di impegno civile.
PS. Chi volesse approfondire la conoscenza del lavoro di Stefano e della sua associazione può cliccare sul link dell’Associazione Rehab4Us e sulla relativa pagina facebook