Nei giorni della soddisfazione per l’Italicum ‘modello per l’Europa’ e del tripudio mediatico per l’Expo delle meraviglie irrompe come un fantasma dell’Italia ‘rottamata’ il dossier Pompa-Pollari e l’ombra molto concreta del segreto di Stato su uno dei casi più incredibili e miserabili della Seconda Repubblica.
Si tratta dell’operazione spionistica e di dossieraggio a fini intimidatori mirata, letteralmente, a ‘disarticolare’ quelli che venivano ritenuti pericolosi oppositori di Berlusconi. Una lista che includeva i magistrati più esposti sul fronte delle inchieste su mafia e corruzione, un consistente numero di giornalisti con la schiena dritta che, come oggi, non erano al seguito del presidente del Consiglio, una serie di piccole redazioni come quella di Democrazia e Legalità, di cui allora facevo parte, e un numero imprecisato di associazioni attive nella difesa della legalità e della libertà di informazione sotto assedio, una per tutte, Opposizione Civile voluta e sostenuta in primis da Paolo Sylos Labini.
Ora chiamato a testimoniare su “i fatti di via Nazionale” e cioè il covo operativo con tanto di imponente archivio gestito da Pio Pompa sotto il diretto controllo di Nicolò Pollari, l’ex numero uno del Sismi ha esibito davanti ai magistrati di Perugia la lettera dell’attuale capo dipartimento informazioni per la sicurezza di palazzo Chigi da cui si evince la conferma del segreto di Stato con relativo prossimo ricorso alla Consulta.
Vale appena accennare che della compagine spionistica faceva parte anche il camaleontico Renato Farina alias Betulla, incaricato tra molto altro, e probabilmente ricompensato con i nostri soldi, di imprese epiche come il tragicomico tentativo di carpire informazioni agli inquirenti sul caso Abu-Omar (le pagine di Armando Spataro in Ne valeva la pena sono esilaranti) o il maldestro depistaggio sul rapimento e l’uccisione di Baldoni.
Se si confermasse l’intenzione dell’attuale governo di ingaggiare ancora un altro vergognoso braccio di ferro con la magistratura dopo i precedenti, sollevando un altro conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, tutti gli specchietti abbaglianti sulla trasparenza e il nuovo corso renziano andrebbero definitivamente in frantumi.
Dopo la serie dei conflitti opposti alla procura di Milano da parte dei governi Berlusconi e Prodi sul rapimento di Abu Omar , grazie ai quali, mentre sono stati condannati gli agenti della Cia Niccolò Pollari se l’è cavata e protetto dal segreto ora è chiamato a testimoniare contro il suo sottoposto Pompa, impedire anche questa volta l’accertamento della verità sarebbe intollerabile, per di più su un caso tutto “italiano” dove parti lese sono la magistratura, l’informazione, quella vera, e i cittadini.
Quanto l’attività degli “spioni di stato” fosse stata valutata allarmante e seriamente lesiva dei principi a fondamento dello stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura è confermato anche dalle prese di posizione formali da parte del CSM che dopo la scoperta del “centro operativo” di via Nazionale con una delibera unanime del 7 novembre del 2006 apriva una pratica a tutela dei 200 magistrati “attenzionati”.
Adesso Renzi può scegliere, ma sembra che lo abbia già fatto. Da un lato c’è la continuità nell’opacità del segreto, su cui peraltro la Corte Costituzionale aveva posto un preciso paletto, precisando che “il premier è investito di ampio potere da esercitarsi sotto il controllo del parlamento” ma nel suo caso suona un po’ debole. Dall’altro l’opportunità di togliere la foglia di fico al “testimone” Pollari e allora ne sentiremmo delle belle, ma temo che Renzi non se la possa o voglia permettere.