La Commissione è orientata a bocciare la cosiddetta "reverse charge" dell'Iva, un meccanismo contabile previsto dalla legge di Stabilità. Il no farà scattare una clausola di salvaguardia che prevede l'aumento automatico delle tasse su benzina e gasolio dall'1 luglio, a meno che il governo Renzi non trovi i soldi in altro modo
Un’altra tegola in arrivo per i conti pubblici italiani dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni. Stavolta il mittente delle cattive notizie è Bruxelles: secondo l’agenzia Ansa, la Commissione europea è orientata a bocciare la cosiddetta reverse charge dell’Iva, cioè l’inversione contabile introdotta per alcuni settori dalla legge di Stabilità. Il verdetto non è ancora ufficiale e serviranno almeno due settimane prima che si concluda l’esame delle richieste di deroga al regime Iva presentate da Roma. Ma la bilancia ora pende verso un giudizio “non positivo”. E il probabile no, ventilato già a gennaio durante la missione a Roma dei tecnici della Commissione, obbligherà Palazzo Chigi e il Tesoro a scovare altri 700 milioni di euro. In caso contrario infatti scatterà una delle famigerate “clausole di salvaguardia” inserite nella manovra e per gli automobilisti arriverà una nuova stangata: l’aumento automatico delle accise su benzina e gasolio. Ma mercoledì il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto che “c’è l’impegno del governo a eliminare tutte le clausole di salvaguardia e dunque anche un aumento delle accise”.
Il meccanismo della reverse charge prevede che l’imposta sul valore aggiunto a venga versata all’Erario dagli acquirenti del prodotto e non più dai venditori, che così non vedono transitare l’imposta nelle loro casse, finiscono in credito e devono mettersi in fila per ottenere il rimborso. Nei mesi scorsi contro la novità sono saliti sulle barricate i fornitori della grande distribuzione, secondo i quali equivale a obbligare le aziende a finanziare lo Stato senza nemmeno ricevere in cambio gli interessi.
Che la Commissione e il Consiglio Ue (a cui spetta l’ultima parola sull’accoglimento delle domande) siano da sempre contrari a interventi di questo tipo è ben noto: nel 2006 anche Germania e Austria hanno incassato un rifiuto all’inversione, che confligge con la direttiva europea sull’Iva. E di recente anche la Romania si è vista respingere la richiesta. Al contrario, i tecnici di Bruxelles intendono concedere a Roma la deroga sul cosiddetto split payment, un altro meccanismo contabile anti-evasione che prevede il pagamento dell’Iva da parte degli enti pubblici direttamente allo Stato. Se il diniego si allargasse anche a quella norma, i soldi da trovare salirebbero a 1,7 miliardi. Oltre ai circa 10 necessari per rimborsare i pensionati danneggiati dalla norma Fornero bocciata dalla Consulta.