Una settimana dopo l’apertura di Expo e le devastazioni del blocco nero a Milano, proviamo a fare il punto, a mente fredda, su quanto è successo. Diradati i fumi delle molotov e delle auto bruciate, proviamo a porre una domanda: è possibile criticare Expo senza essere “nemici della Patria” o, peggio, black bloc?
Il primo risultato ottenuto dal blocco nero il 1° maggio è stato quello di oscurare del tutto le ragioni di chi voleva pacificamente contestare l’esposizione universale. Poche centinaia di persone vestite di nero, facendosi scudo del corteo dei No Expo composto da migliaia di manifestanti tranquilli, hanno bruciato auto e danneggiato negozi, nell’area tra via De Amicis e piazza Conciliazione.
La violenza è cattiva, ma è fotogenica, come scrive Alessandro Robecchi: giornali, siti e tv hanno mostrato a ripetizione, per giorni, le gesta del blocco nero e nessuno ha ascoltato le ragioni – giuste o sbagliate – di chi voleva contestare Expo. Quelle migliaia di persone che erano in corteo, utilizzate e sequestrate dal blocco nero, volevano porre domande, mostrare argomenti, avanzare critiche: buone o cattive, varrebbe la pena di ascoltarle, magari per respingerle. Invece ha prevalso la retorica dell’Evento Buono attaccato dai violenti, dunque da difendere a ogni costo.
C’è qualcuno che ha fatto anche di peggio: una parte della politica con il solito Matteo Salvini in testa e qualche giornalista con l’elmetto hanno fomentato la reazione isterica di quanti hanno ripetuto che la polizia ha lasciato fare i violenti, mentre avrebbe dovuto caricare il corteo e impedire le devastazioni. In realtà la gestione della piazza da parte delle forze dell’ordine questa volta è stata saggia.
È stato impedito al blocco nero di andare verso l’Expogate, verso il Duomo, verso la Scala. Ma senza caricare il corteo entro cui i gruppi del blocco nero si muovevano, perché la carica avrebbe provocato l’effetto G8: i “neri”, ben allenati, se ne sarebbero andati e a prenderle sarebbero restati i cittadini inermi. Oltre ai danni alle cose (deprecabili), ci sarebbero stati danni anche alle persone, con un bilancio che sarebbe stato ancor più pesante. Pensate che cosa avrebbe significato per Milano e per l’Italia avere il giorno d’apertura dell’Expo 2015 bagnato dal sangue di feriti (e magari anche peggio). Sarebbe stata la vittoria del blocco nero, la realizzazione di quello che volevano. Contenimento e riduzione del danno: così è stato gestito il corteo da parte della polizia. E ora toccherà ai movimenti porsi il problema di come manifestare le proprie idee senza offrire un veicolo al blocco nero, che usa le manifestazioni come fossero un taxi su cui salire, provocare e scendere.
Non ha senso dire: “La polizia li ha lasciati fare”, quasi si trattasse di complicità. Non ha senso attribuire responsabilità al sindaco, che non ha poteri di ordine pubblico. Non ha senso affermare: “Dovevano arrestarli prima”, in democrazia non si possono fare arresti prima che siano compiuti reati, come nel film Minority report. Non ha senso strillare: “Si doveva proibire la manifestazione”, i cittadini pacifici hanno diritto di espressione, tanto più il 1° maggio.
Ma infine uno degli effetti delle devastazioni (peraltro amplificate a dismisura da chi fa finta di non ricordare che cosa succedeva negli anni 70) è stato il trionfo della Expo-retorica, in una melassa patriottarda e buonista che impedisce di porsi laicamente domande del tipo: Expo sta facendo un uso strumentale del tema alimentazione? Ha innescato davvero la ripresa e l’occupazione? Lascerà ai conti pubblici un buco da 1 miliardo di euro? E che cosa si farà sull’area, dopo la chiusura dei cancelli?
il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2015