Tra mercoledì e giovedì scorsi solo rari nottambuli o qualcuno affetto da insonnia (tipo il sottoscritto) hanno potuto seguire a ore antelucane la trasmissione Matrix; coordinata con mano incerta da Luca Telese, cui le continue giravolte hanno procurato una sorta di psico-labirintite; con immediato smarrimento delle coordinate verso l’imparzialità. D’altro canto, essere finito sul libro paga Mediaset…
Risultava così in tutta evidenza la linea comunicativa paitesca – attenta alla lezione del “re degli ignoranti” Adriano Celentano – declinata nel presentarsi in campagna elettorale quale “governatrice rock”, in alternativa agli avversari presumibilmente “slow”. D’altronde perché stupirsi della scelta in via Gluck del proprio maître à penser, appurato che il curriculum della candidata rock tace sui suoi titoli di studio. Aspetto da approfondire, visto che lo sbandierato ruolo di capo gabinetto del sindaco di Spezia nel 2002 richiedeva la laurea. Ma le regole nella politica sono ormai un optional. In Liguria, e non solo. Compreso il livello culturale minimo per svolgere attività pubblica. Che si riverbera nei modi infantili con cui sono narrati i temi della politica. A partire dai Grandi Eventi – come l’Expo – o le Grandi Opere, dalla TAV ai Terzi Valichi.
Scelte di stampo ottocentesco presentate come il massimo, tanto della modernità quanto del giovanilismo.
L’epopea Ballo Excelsior delle Grandi Opere – dai trafori ai binari – era in linea con strategie di sviluppo in un mondo dove le dinamiche del cambiamento seguivano traiettorie lentissime, governabili con realizzazioni ultra-decennali (e poi di perdurante validità nel quadro statico). Il mito delle Grandi Esposizioni rispondeva alla necessità di offrire una vetrina alle realizzazioni tecniche dell’epoca. Mentre oggi i processi innovativi si sono arrestati; anche per effetto della finanziarizzazione NeoLib: la natura speculativa dell’investimento in ricerca impone ritorni di profittabilità sul brevissimo. Difatti i team scientifici sono stati soppiantati da geni markettari tipo Bill Gates o Steve Jobs; la ricerca pubblica saccheggiata da questi furbissimi robber barons di fine Millennio. Di certo ormai è il consumo a ridisegnare le nostre vite, non le invenzioni: il touch-screen è indubbiamente una trovata carina, ma di certo del tutto priva dell’impatto pervasivo che ebbero al loro apparire la macchina a vapore o il motore a scoppio.
In linea con la logica tendenzialmente mistificatoria del marketing (suscitare bisogni per orientare le propensioni all’acquisto) la politica di questi anni non può fare a meno di adottare una retorica tutta giocata sull’iperbole. Lo fa nel suo piccolo la Paita, lo fa in grande Matteo Renzi; sempre da provinciali: “tutto il mondo ci guarda” (ma va là), “Milano al centro dell’attenzione universale” (solo per l’idiozia di alcuni casseurs sciroccati, autori del più involontario spot a favore dell’Expo e del governo).
L’iperbolico come strumento e – al tempo stesso – paravento; magari dell’avidità di potere di questi personaggi. Come il nostro premier cacciaballe. Come Paita, che a Matrix esponeva a propria discolpa un’imbarazzante contabilità dei morti per catastrofi ambientali. Tanto da meritarsi la fulminante battuta di Sansa: “non credevo si potesse cadere tanto in basso”.