I capi della Locride scalzano Cosa nostra nella Grande mela. Il narcotraffico gestito in una pizzeria del Queens. Per gli inquirenti Gregorio Gigliotti, zio Gregory, "sta prendendo nelle sue mani il traffico internazionale di cocaina"
A Pianopoli lo chiamano “Zio Gregory” ed è il più famoso zio d’America del paese. E quando sospetta che qualcuno gli stia fregando dei soldi, “zio” Gregorio Gigliotti, non transige: “Ancora non mi conosci, neanche tu?”, dice alla moglie, “ti ricordi una volta che ti ho detto… che allo stesso tavolo ho mangiato un soffritto… mi sono mangiato un rene e un pezzo di cuore…”. È il febbraio 2014 e sua moglie risponde: “Perché tu sei mezzo pazzo… mi fai venire il rovescio…”. Gli investigatori hanno un sospetto: che l’uomo abbia davvero mangiato gli organi di qualcuno.
È questa l’idea che lo Sco della Polizia di Stato e Fbi si sono fatti di Gregorio Gigliotti, il narcotrafficante calabrese a New York, l’uomo legato ai provvedimenti di fermo eseguiti ieri in Calabria. Quando invece parla di sé, e del suo rapporto con la ‘ndrangheta, Gigliotti ricorda un matrimonio e quella volta ebbe “il rispetto di tutti i presenti”. “La persona della ‘ndrangheta – dice sempre a sua moglie Eleonora – deve stare serio… lo sgarro… i complimenti, tutti mi vogliono, tutti sanno (chi sono io) e sono venuti lì…”. Eppure non bastano queste poche, agghiaccianti parole, a ritrarre l’uomo arrestato due mesi fa a New York.
“Chi è questo Gregorio che ha una pizzeria nel Queens? Lo chiamano “Gregorio di Corona”, sta prendendo nelle sue mani il traffico internazionale di cocaina a New York..”, riferisce il Federal Bureau of Invesigations allo Sco della Polizia di Stato, chiedendo una mano per le indagini. Per gli uomini ora guidati da Renato Cortese, in particolare per gli investigatori della Prima divisione, quella diretta da Andrea Grassi, non è un’impresa difficile. Di un tale “Gregorio di Corona” si parlava già negli atti dell’indagine Solare, effettuata tra il 2008 e il 2011 dal Ros dei carabinieri, ma all’epoca l’uomo non era stato ancora identificato. Si tratta proprio di lui. Viene identificato e il 30 giugno 2014 il giudice di New York Arthur Spatt autorizza le intercettazioni.
Gregorio di Corona al telefono parla spesso. E troppo spesso digita il prefisso del Costa Rica. A volte anche la Colombia. E spesso cerca di contattare un tale Armando che, più in là, sarà al centro di un incontro per una partita di droga all’hotel Indigo di San José con altra gente ispanica. L’inchiesta si chiude in pochi mesi. L’Fbi gli sequestra un arsenale: decine tra pistole e fucili. È il nuovo boss del narco traffico. Da Panopoli, Gregorio e la sua famiglia, si sono trasferiti a Whitestone, New York, circa 30 anni fa. Ha aperto una pizzeria nel Queens, al 108th street, Corona, l’ha chiamata “Cucino a modo mio”, ed è diventata lo snodo dei più ingenti traffici newyorchesi.
Questa è l’ennesima puntata di “pizza connection”, con la differenza, ormai sempre più costante, che si tratta di una pizzeria calabrese e non siciliana. I rapporti con le famiglie di Cosa Nostra a New York, però, restano sempre in piedi. Secondo lo Sco Gigliotti si muove autorevolmente proprio grazie alla sua vicinanza con Anthony Federici, ritenuto “underboss” vicino alla storica famiglia Genovese, titolare di un altro noto ristorante italo americano, il “Park Side Restaurant”, a pochi passi dalla pizzeria di Gigliotti. Gli investigatori sospettano che Gigliotti e i suoi uomini abbiano avuto un ruolo anche nel traffico di 3 tonnellate di cocaina sequestrate a Rotterdam nel novembre scorso. Forse il più grande carico mai sequestrato nella storia della lotta al narco traffico. Di certo, secondo l’accusa, il suo ristorante era la copertura per accogliere spalloni e trafficanti sia sulla rotta New York-Costa Rica – per la quale gli attribuiscono due sequestri per un totale di 60 chili – sia su quella calabrese. E proprio in Costa Rica – sostengono gli investigatori – Gigliotti conduce personalmente i rapporti con i referenti di vertice del narco traffico costaricense. In Calabria, invece, la sua rete poteva contare sui fratelli Francesco e Carmine Violi – arrestati ieri – legati alla cosca Alvaro di Sinopoli.
Ma come arriva Gigliotti – da perfetto sconosciuto per gli inquirenti – a rivestire questo ruolo di vertice? In realtà, la sua storia dimostra che non esiste il vuoto, nel narco-traffico, perché la sua definitiva ascesa nasce proprio dal declino di un suo vecchio debitore, Giulio Schirripa, arrestato nell’inchiesta Solare. Anche Schirripa era il proprietario di un ristorante a New York, ma nel 2008 è braccato da mezzo mondo, visto che è in ritardo con i pagamenti destinati al cartello dei messicani. I narcos lo cercano giorno e notte, lui rimanda i pagamenti, e loro minacciano un altro pezzo da novanta, il suo amico Christopher Castellano. Nel frattempo è intercettato e pedinato dall’Fbi.
E se non bastasse c’è un tale “Gregorio di Corona” che lo cerca perché rivuole indietro i suoi soldi: è già Zio Gregory, secondo gli investigatori, a comandare. Ma Schirripa di lì a poco viene arrestato. Castellano – titolare del night club Kristal, figlio di big Joe, famoso boss di Cosa Nostra – sarà ucciso perché sospettato di collaborare con l’Fbi. E Gigliotti annoda il sistema totalmente nelle sue mani. Da New York tira anche le fila della “Fresh farm produce export corporation”, la società destinataria dei container carichi di droga che approdano negli Usa. La coca viaggia nascosta nei barattoli di manioca e frutta tropicale. Ma arrivano i sequestri. E Gigliotti commenta: “…è andata male, che vuoi fare”. Sua moglie Eleonora
Ad aiutarlo c’è sempre sua moglie Eleonora che effettua “viaggi in Costa Rica per interloquire con i fornitori di cocaina per pagare il prezzo di vendita e assicurando l’allestimento delle valigie dove occultare denaro e stupefacente”. Le attività d’osservazione, che hanno riguardato Eleonora Gigliotti e Franco Fazio, hanno portato gli investigatori a sostenere che in Costa Rica sono state consegnati almeno 530 mila dollari in due soluzioni. È lo stesso Fazio, di Pianopoli, candidato nella lista del Cdu, destinatario del provvedimento di fermo emesso dal procuratore Federico Cafiero De Raho, dall’aggiunto Nicola Gratteri e dal sostituto Paolo Sirleo. Ma non era la politica comunale il suo core business: “Era una candidatura di bandiera – ha spiegato – neanche sapevo di essere in lista…”.
Dal Fatto Quotidiano dell’8 maggio 2015