Cultura

Biennale Venezia 2015: i volti, le ombre e le radici in ‘Armenity’

Un gioco di ombre e luci, dove emergono solo dettagli, particolari che ti spingono a voler sapere cosa c’è dietro quello scatti. Angoli di case, tavoli, spigoli di mobili, ritratti di persone al buio riflesse tra le ombre. Mai però si vedono i volti. Ci sono mani, di uomini e donne, illuminate da un solo fascio di luce, come se quegli oggetti e quelle persone fossero sotto interrogatorio. Persone “rifiutate dalla società turca e solo in parte accettati dalla comunità armena e che rimangono invisibili”. E’ questo “Unexposed”, progetto del 2012 di Hrair Sarkissian, che ha a che fare con i discendenti degli armeni che si sono convertiti all’Islam per scappare al genocidio che avvenne nell’Impero ottomano nel 1915 e che oggi, avendo riscoperto le loro radici ed essendosi riconvertiti al Cristianesimo, sono costretti a tenere segreta la loro armenità ritrovata.

Un progetto che esplora posizioni diverse sull’immigrazione, sulla persecuzione e il dislocamento e uno dei tanti esposti fino al 18 ottobre prossimo al Monastero Mechitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni, a Venezia. L’occasione è la mostra “Armenity” (curata Adelina von Furstenberg nel contesto della 56. Esposizione Internazionale d’arte La Biennale Di Venezia) e quello di Sarkissian è solo uno degli artisti contemporanei della diaspora, nipoti di coloro che sono sopravvissuti al genocidio, che esporranno a cui si aggiungono i nomi di Haig Aivazian, Nigol Bezjian, Anna Boghiguian, Hera Büyüktaşçıyan, Silvina Der-Meguerditchian, Rene Gabri & Ayreen Anastas, Mekhitar Garabedian, Aikaterini Gegisian, Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Aram Jibilian, Nina Katchadourian, Melik Ohanian, Mikayel Ohanjanyan, Rosana Palazyan e Sarkis. Tutti insieme per cercare di rafforzare, con le loro opere, la nozione di dislocamento e di territorio, di giustizia e di riconciliazione, di ethos e di resilienza.

Come fa anche Melik Ohanian, altro artista in mostra, che porterà a Venezia il suo “Datcha Project”, progetto iniziato dall’artista nel 2005 dove persone provenienti da ambienti e culture diverse sono state invitate a condividere un momento in un villaggio armeno e Aikaterini Gegisian che, in “A Small Guide to the Invisible Seas”, ha realizzato un collage di immagini prodotte in contesti ideologici differenti dell’Armenia sovietica, Turchia e Grecia dal 1960 al 1980. A rendere il tutto più suggestivo il fatto che la mostra si trova sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni, situata tra San Marco e il Lido, che con i suoi giardini, l’antica tipografia, il chiostro e la biblioteca di manoscritti, ha contribuito a preservare uno dei patrimoni più importanti della cultura armena.