Chi ha il pallino della scoperta e della ricerca, chi visita fiere, assaggia continuamente vini diversi, ama gli autoctoni e le piccole cantine, volente o nolente abbandona un certo grado di laicismo e finisce per adagiarsi sulla sua nicchia. Difficile rifiutarne i richiami e le coccole, fatte con le mani rigorosamente callose. Spesso si finisce per guardare con disprezzo il “vino industriale”, quello identico in ogni bottiglia e annata, a corto di letteratura dentro e fuori dal bicchiere. Un paio di settimane fa in una pagina di Facebook altamente vinocentrica qualcuno li ha etichettati come “vini di gomma”, trasformando una sana provocazione in un involontario tormentone social.
Cercando di tenere alla lontana le contrapposizioni più manichee mi sembra che molti grandi aziende siano in ritardo con il gusto moderno (che è ancora una tendenza, ma potrebbe diventare dominante) dove rotondità, concentrazione e intensità olfattiva lasciano il passo a eleganza, espressività e complessità. E quando cercano di colmare il gap lo fanno spesso in modo maldestro e artefatto come con l’ondata biologica che ha invaso il settore nell’ultimo decennio.
Poi esistono i cambiamenti reali, quelli importanti. Perché finché le migliori espressioni di un grande autoctono come il Fiano e le sue tante espressioni sono in mano solo a una decina di agricoltori illuminati il discorso della nicchia finisce per riproporsi. Invece c’è chi come Feudi San Gregorio da qualche anno ha abbandonato il profilo piacione e stancante dei suoi vini di anni fa, quell’invasività dei profumi (i sentori tropicali, la dannata banana!) e ha cambiato registro.
Ora chi compra il loro Pietracalda in enoteca o nella grande distribuzione sa come dovrebbe essere il Fiano. Non è affare di poco conto. Un cambiamento che racconta anche un fianista doc come Alessio Pietrobattista nel suo bel libro Fiano Terra e che è legato all’arrivo di Pierpaolo Sirch e Antonio Capaldo in azienda, a un rinnovato scambio con quei piccoli produttori che hanno dimostrato la grandezza di questo vino.
Il Pietracalda 2012 – che ho bevuto con calma a qualche mese dal più recente e ottimo 2013 – si conferma vino di grande personalità e aderenza territoriale. Poca opulenza al naso, bel carattere agrumato e mediterraneo, bell’acidità e dinamica in bocca, chiusura importante. Pollice su e poche storie e guerre di religione. Sui 10 euro, in enoteca e anche al supermercato.