Cercando di tenere alla lontana le contrapposizioni più manichee mi sembra che molti grandi aziende siano in ritardo con il gusto moderno (che è ancora una tendenza, ma potrebbe diventare dominante) dove rotondità, concentrazione e intensità olfattiva lasciano il passo a eleganza, espressività e complessità. E quando cercano di colmare il gap lo fanno spesso in modo maldestro e artefatto come con l’ondata biologica che ha invaso il settore nell’ultimo decennio.
Poi esistono i cambiamenti reali, quelli importanti. Perché finché le migliori espressioni di un grande autoctono come il Fiano e le sue tante espressioni sono in mano solo a una decina di agricoltori illuminati il discorso della nicchia finisce per riproporsi. Invece c’è chi come Feudi San Gregorio da qualche anno ha abbandonato il profilo piacione e stancante dei suoi vini di anni fa, quell’invasività dei profumi (i sentori tropicali, la dannata banana!) e ha cambiato registro.
Ora chi compra il loro Pietracalda in enoteca o nella grande distribuzione sa come dovrebbe essere il Fiano. Non è affare di poco conto. Un cambiamento che racconta anche un fianista doc come Alessio Pietrobattista nel suo bel libro Fiano Terra e che è legato all’arrivo di Pierpaolo Sirch e Antonio Capaldo in azienda, a un rinnovato scambio con quei piccoli produttori che hanno dimostrato la grandezza di questo vino.
Il Pietracalda 2012 – che ho bevuto con calma a qualche mese dal più recente e ottimo 2013 – si conferma vino di grande personalità e aderenza territoriale. Poca opulenza al naso, bel carattere agrumato e mediterraneo, bell’acidità e dinamica in bocca, chiusura importante. Pollice su e poche storie e guerre di religione. Sui 10 euro, in enoteca e anche al supermercato.