Eritrei, somali, siriani e pakistani: tutti all'addiaccio nel principale scalo ferroviario del capoluogo lombardo dopo mesi di viaggio dai loro paesi d'origine. I volontari: "Sono qui per cercare un passeur e attraversare la frontiera. Noi facciamo il possibile, ma abbiamo bisogno di aiuto dalle istituzioni"
“Abbiamo dato loro panini, acqua, coperte e vestiti. Stiamo cercando di trovare una sistemazione, ma qualcuno dovrà dormire qui, in stazione Centrale”. Eritrei, somali, siriani e pakistani: sono più di 150 gli immigrati arrivati a Milano negli ultimi giorni, senza cibo, acqua, soldi e vestiti. Uomini, donne e bambini senza documenti, che sfuggono alle telecamere per paura di essere riconosciuti. Gli unici che accettano di parlare lo fanno a volto nascosto: se venissero identificati, infatti, il loro sogno di lasciare l’Italia e raggiungere il Nord Europa svanirebbe. “Siamo stati derubati, picchiati e stuprati dalle guardie che collaborano con i trafficanti – racconta Russom, un giovane eritreo di 25 anni – Vorrei andare in Inghilterra, ma non so se ce la farò mai”.
Intanto, i volontari dell’associazione Cambio Passo li hanno accolti in zona Porta Venezia, all’aperto. Ma, quando il numero di persone è continuato a crescere, hanno deciso di portarli tutti alla stazione Centrale. “L’assessore Pierfrancesco Majorino è venuto qui a controllare la situazione – dicono -, ci ha fatto i complimenti per il lavoro che facciamo, ma non ha pensato di offrire beni di prima necessità. La situazione è critica da almeno un mese, anche per questo siamo venuti alla stazione, per far vedere che ci sono centinaia di persone costrette a stare per strada”.
I migranti più fortunati sono stati sistemati nel centro d’accoglienza di via Mambretti, messo a disposizione proprio dal Comune, dove potranno dormire su delle brandine. Gli altri cento hanno passato la notte sui materassini e le coperte date loro dai volontari. “Per il momento li teniamo qui, da domani vedremo”, dicono. Da una parte gli africani, fuggiti dalla povertà e dalla violenza. “Anche sui barconi – spiegano – gli africani sono considerati migranti di serie b e stanno negli scompartimenti sotto, dove è più facile morire schiacciati o finire in acqua”. I loro racconti parlano di mesi di viaggio, dalle città e i villaggi del Paese africano, passando per il Sudan e il deserto, pressati sui camion, senza cibo e poca acqua, fino alla Libia, dove si sono imbarcati per l’Italia. Migliaia di euro spesi, rischiando la propria vita e subendo la violenza dei trafficanti, per poter raggiungere il nord Europa. “Il viaggio costa da 4mila fino a 10mila euro – continua Russom – Sono venuto a Milano perché è da qui che partono i corrieri per il resto dell’Europa. Vorrei raggiungere l’Inghilterra, so che non è facile, ma per il momento sono felice di essere arrivato”.
In un angolo sono stati sistemati anche una quarantina di siriani. “Generalmente, loro hanno meno problemi di soldi – dicono i volontari – Chi riesce a uscire dal Paese lo fa perché vuole fuggire dalla guerra e dalla dittatura, ma hanno maggiore disponibilità economica. I siriani poveri o i profughi di Damasco non possono permettersi di scappare”. Se tra gli eritrei si vedono giovani senza scarpe o a torso nudo, infatti, tra i siriani ci sono donne dalle facce curate e ragazzi che indossano vestiti nuovi. Ziad si avvicina, vuol raccontare la sua storia. Non rispecchia lo stereotipo del siriano fuggito dalla guerra: ha la carnagione chiara, capelli biondi, vestiti occidentali e l’iPhone in mano. Sembra più il membro di una band inglese. In realtà, Ziad suonava davvero in un gruppo rock, a Homs, fino a quando il regime di Bashar al-Assad ha iniziato a “perseguitarlo”.
“Ricordo ancora il nostro primo concerto – racconta – Il giorno dopo sono stato convocato dalla polizia che ha iniziato a chiedermi perché suonavamo, cosa avevamo intenzione di fare, chi erano le persone che venivano ai nostri concerti. Noi volevamo soltanto fare musica”. Per questo, Ziad racconta di aver passato 33 giorni in una sala per gli interrogatori, prima in mano alla polizia e poi ai servizi segreti: “Appena fai qualcosa che esce dai canoni imposti dal regime – continua il ragazzo – ti mettono nel mirino. È successo lo stesso con i ribelli del Free Syrian Army: appena è stato possibile sono stati accomunati ai jihadisti di al-Qaeda e Isis,diventando per tutti dei terroristi”.
Ziad racconta di aver attraversato il confine tra Siria e Turchia con il suo passaporto, di aver poi raggiunto la Grecia in nave e, da lì, di essersi imbarcato su un aereo Atene-Milano. Tutti gli altri, però, hanno speso migliaia di euro per attraversare il deserto, raggiungere la Libia e imbarcarsi in una delle carrette del Mediterraneo. “Non conoscevo le persone morte nell’ultimo grande naufragio – racconta Russom – Io sono stato fortunato perché ho viaggiato in una barca con soli eritrei. Quando, invece, vengono mischiati eritrei e somali, la grande tensione e la sofferenza sfociano spesso in risse che provocano il ribaltamento delle barche”. Chi riesce ad arrivare vivo a Lampedusa o sulle coste siciliane, dice Marzia D’Antino di Cambio Passo, “sogna di andare in Germania, Norvegia, Svezia o Regno Unito. Per fare questo, vengono qui a Milano, dove sanno di trovare i ‘trafficanti europei’, i passeur, che possono farli uscire dall’Italia”.