Come può uno scoglio arginare il mare? Nella notte di martedì scorso il controverso, contrapposto e blindato, Literaly Gala & Free Expression Award dell’American Pen Club, si è concluso con una standing ovation in favore di due sopravvissuti di Charlie Hebdo, c’est a dire Gérard Biard e Jean Baptiste Thore, nonostante la premiazione fosse stata preceduta da un furibondo dibattito sulla libertà di espressione vs blasfemia & islamofobia, messo in scena da un paio di centinaia di scrittori contrari al così/detto estremismo laico – tra i quali Peter Carey, Michael Ondaatje, Eric Bogosian, e Rachel Kushner. Di quest’ultima avevamo apprezzato il romanzo I Lanciafiamme. Tutti autori di un vero & proprio boicottaggio contro la libertà di espressione, la famosa freedom of expression. Fondamentale valore costituzionale americano codificato nel famoso first amendment, controbilanciato dalla reverenza delle libertà di religione, non altrettanto sentito in Europa e soprattutto in Francia, patria dell’omonima e non del tutto sopita rivoluzione.
Le ragioni o anti/ragioni dei detrattori di Charlie Hebdo dissociati dal Pen, hanno preso di mira “gli oltranzisti della libera espressione” definiti “fanatici deleteri”, “provocatori gratuiti”, “estremisti laici” & chi più ne ha più ne metta. Il celebre disegnatore Garry Trudeau, rimembrando la vicenda delle famigerate vignette olandesi, ha accusato i vignettisti di Charlie Hebdo di essersi scagliati “contro una religione di poveri” (sic!), provocando l’odio dei mussulmani francesi e di tutti quanti gli altri.
Mentre Gérard Biard, direttore di Charlie Hebdo ha rivendicato il diritto illimitato di deridere tutte le religioni e le credenze annesse & connesse, dichiarando: “Dobbiamo combattere l’oscurantismo politico e religioso perché più siamo forti e più deboli saranno loro”, e concludendo: “Capisco perfettamente che alcuni fedeli possano restare scioccati da vignette che ritraggono Maometto, Gesù, Mosé o il Papa. Ma scioccarsi fa parte del dibattito democratico, essere uccisi no. Grazie”.
Dal canto suo il presidente del Pen America, Andrew Solomon, ha ribadito il diritto-dovere di difendere la libertà degli scrittori. “Il premio a Charlie Hebdo è motivato dal loro rifiuto di soggiacere alla violenza impiegata contro la loro libertà e di persistere nella satira anche dopo la strage. Chi di noi avrebbe lo stesso coraggio?”. Silenzio.
“C’è una grandezza nel dire ciò che ti è stato proibito di dire e così renderlo dicibile” – ha concluso Solomon al cospetto di una platea di star della scrittura e della letteratura come Salman Rushdie, il quale aveva precedentemente apostrofato i dissidenti come fighetti & fighette… in cerca d’autore. Forse “la sola cosa sensata da dire – ha stranamente vergato Luca Celata sul politicamente extra corretto il Manifesto – in un consesso di manovali dell’espressione”.
Beppe Grillo, dopo aver letto Orwell, ha scritto: “La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un politically correct asfissiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto. Una Lourdes linguistica che edulcora e trasforma le parole, sostituisce la realtà, si pone come sudario sul corpo vivo della società. La verità, nella sua semplice e brutale esposizione è diventata un oltraggio al pudore, al bon ton, uno sfregio alla democrazia compiuta e alle Istituzioni e che sempre siano lodate. In questa calma da palude nulla deve portare turbamento. L’indignazione gridata è una minaccia, ogni giudizio è un’offesa al galateo, alla forma, a una categoria. Il Sistema, nelle sue varie e molteplici forme, diverse ma protette dal medesimo scudo di perbenismo, da una vernice di merda decennale che non puzza, ma soltanto odora, usa il politically correct per mozzare le lingue, etichettare, isolare chiunque ritenga altro a sé”.
George Orwell scriveva che: “Se semplifichi il tuo linguaggio, ti liberi dalle peggiori follie dell’ortodossia. Non potendo più parlare nessuno dei gerghi prescritti, se dici una stupidaggine la tua stupidità sarà evidente anche a te. Il linguaggio politico è inteso a far sembrare veritiere le menzogne e rispettabile ogni nefandezza, e a dare una parvenza di verità all’aria fritta”.
“Il male e la sventura svaniscono con un tuffo nelle acque dell’eufemismo. Chi è il capitano Achab? Un portatore di un atteggiamento scorretto verso le balene. Non facciamo fiasco, riusciamo meno bene del previsto. Non siamo drogati, eccediamo nell’uso di sostanze stupefacenti. Non siamo paralizzati, ma affetti da tetraplegia. Un cadavere va chiamato ‘persona non vivente’ e di conseguenza, un cadavere grasso sarà una persona non vivente portatrice di adipe.” – Robert Hughes, La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto.
L’atto supposta/mente rivoluzionario di troppi intellettuali letterari – veri & propri manovali dell’espressione e non Maestri – è scagliarsi contro la satira e la libertà di espressione. Rimasti alla rivolta di Berkeley e/o a decrepite rimembranze sessantottarde, nel maldestro tentativo di giustificare lo sterminio dei Charlie Hebdo, ignorano che la libertà d’espressione non può non infrangere il cosi/detto politicamente corretto.
Uno scoglio non può arginare il mare tanto quanto la satira non può – per definizione –essere politicamente corretta. Punto.
(*) con la collaborazione di Célina HD