Non è più la “cattiva maestra televisione” da cui ci metteva sull’avviso Karl Popper, che nell’elettrodomestico più diffuso del globo vedeva unicamente un pericoloso e potentissimo veicolo di messaggi violenti. E nemmeno è più lo strumento top-down che la massa subisce senza diritto di replica. Di tutti i media tradizionali oggi la tv è forse il più “smart”: quello più rapido e versatile nell’interpretare i nuovi ruoli che l’evoluzione digitale impone all’informazione e all’intrattenimento. E dal festival della tv e dei nuovi media tenuto nell’ultimo fine settimana a Dogliani alla kermesse annuale sul giornalismo chiusa venti giorni fa a Perugia, sempre più spesso, questo tema si è fatto strada nei dibattiti tra gli addetti ai lavori. Secondo alcuni il rapporto di forza tra spettatore ed emittente televisiva sembrerebbe subire una vera e propria mutazione, dando al primo opportunità inedite di far sentire la propria voce. Persino sulla scaletta dei talk-show.
Passo indietro. Negli stessi anni in cui Popper lanciava il suo anatema, un altro libro faceva discutere con le sue provocazioni: “Essere digitali” di Nicholas Negroponte. “La trasmissione televisiva” – sosteneva Negroponte nel 1995 – “è un esempio di sistema di comunicazione in cui tutta l’intelligenza è contenuta sul punto di origine. Chi trasmette definisce ogni cosa e chi riceve prende ciò che gli viene dato. Infatti, il vostro grosso apparecchio televisivo è forse l’elettrodomestico più ottuso della casa (e non sto parlando dei programmi). Invece di pensare al prossimo passo nell’evoluzione della televisione in termini di maggior risoluzione, miglior colore o più programmi, pensate a un cambiamento nella distribuzione dell’intelligenza. O più esattamente nello spostamento dell’intelligenza da chi trasmette a chi riceve”.
Negroponte intuiva le frontiere aperte dai bit nella “tv on demand”, che ci conferisce un potere di scelta non solo in termini di programmi ma anche di orari. Vent’anni dopo possiamo affermare che la sua profezia si è compiuta appieno. Al festival della tv di Dogliani, sabato scorso, è stato proprio questo uno dei temi affrontati in un panel intitolato “Il mondo che cambia”. “La crescita della tv on demand influenzerà il modo stesso di produrre i contenuti televisivi”, ha rilevato Nicola Novellone, dirigente dell’area Brand & Advertising di Vodafone Italia. “La modalità On Demand è la nuova frontiera di fruizione della tv”, gli ha fatto eco la direttrice di Sky tg 24 Sarah Varetto il giorno dopo.
Tra i relatori dello stesso panel di Novellone c’era anche Antonella Di Lazzaro, direttore delle Media Partnership di Twitter Italia, che ha evidenziato il peso dei social network in questa mutazione. “Twitter è diventato un grande divano”, ha sottolineato Di Lazzaro, “il luogo perfetto per commentare un programma Tv”. L’abitudine di far sentire “via cinguettio” la propria voce su tutto ciò che viene trasmesso è d’altronde in crescita vertiginosa: nel primo trimestre del 2015 il numero di tweet collegati ai programmi televisivi è aumentato del 40%, è stato annunciato a Dogliani.
La questione è stata esplorata a fondo anche al festival internazionale del giornalismo di Perugia in un panel intitolato “Social Tv: what’s next?”. “Chi usa un device mobile per commentare” – ha sostenuto Alberto Puoti, autore del talk show Virus, in onda su Rai 2 – “poi cambia canale più difficilmente e diventa egli stesso autore del programma televisivo. I tweet infatti non possono essere previsti ma si inseriscono nel tessuto della scaletta, all’interno di un’ipotesi narrativa predefinita che viene fatta ‘esplodere’, in tempo reale, in corrispondenza di ciò che viene postato sui social network”.
Il programma della tv generalista che meglio sta interpretando questa fusione di linguaggi è Gazebo. Accusato all’inizio di essere “di difficile comprensione non solo al di fuori del Raccordo anulare, ma anche fuori le Mura Aureliane”, dal prossimo 22 maggio il programma condotto da Diego Bianchi si è conquistato la prima serata di Rai 3 puntando dritto su contenuti che dalla Rete e dagli smartphone mutuano lessico, sintassi, format: la “social top ten”; i “tutorial”; gli “hashtag” in tempo reale.
“La chiave per il futuro della televisione è smettere di pensare ad essa in termini di televisione” profetizzava Negroponte, che in un altro passaggio evidenziava anche che “implicita nel concetto di multimedialità è l’interazione”. Oggi possiamo affermare che la “redistribuzione dell’intelligenza” consentita dal passaggio dall’analogico al digitale e sublimata dalla “tv on demand” trova nelle conversazioni social una rappresentazione plastica. Nel bene e nel male Twitter e Facebook consegnano allo spettatore un megafono con cui direttori di rete, autori e conduttori sono obbligati a fare i conti. Non il giorno dopo, come accadeva con l’auditel, ma sempre più in tempo reale.