La sentenza 10 marzo – 30 aprile 2015, n. 70 della Corte Costituzionale ha tirato fuori il peggio da questo Paese. Infatti il dibattito conseguente è degno della repubblica delle banane in cui ognuno sostiene la propria tesi vendendola come assoluta e incontrovertibile (pure sommi giuristi), peraltro non affrontandosi il vero grave problema che tra qualche decennio esploderà e che dovrà rispondere all’onnipresente quesito che le generazioni più recenti si pongono: “vedrò mai la pensione?”.
Partiamo da alcune osservazioni preliminari. La prima investe il Giudice delle Leggi che ha scritto una sentenza di difficile comprensione, tanto è tecnica e laboriosa, nonché ponendo vari distinguo di discutibile ragionevolezza. Incomprensibile certamente per l’uomo medio ma anche per buona parte degli operatori del diritto. Che senso ha scrivere sentenze elitarie?
Sempre con riferimento alla Corte c’è chi si è lamentato per non essere stato preavvisato (Renzi & c.) ignorando come ciò non sia giuridicamente previsto e come ciò corrisponda peraltro ad una visione autoritaria e autoreferenziale della democrazia. Inquietante.
Sarebbe però opportuno che in alcune materie, prima di fare disastri, come han fatto i tecnocrati (mi pare che il metodo continui per i successori) si introducesse l’obbligo di richiedere un parere preventivo al Giudice delle Leggi, poiché è grottesco, a distanza di anni, sentirsi bocciare (retroattivamente, tranne che nel caso della Robin Tax dove la Corte è riuscita a violare un principio fondamentale quale l’effetto retroattivo delle sue decisioni!) una legge con un effetto deflagrante. Effetto che investe un governo non direttamente responsabile di tale scempio (ma indirettamente sì poiché i suoi esponenti provengono da partiti che l’hanno largamente approvata, salvo oggi dichiararsi vergini).
Ripugnanti e cialtroni alcuni fatti successivi: a) il valzer sui numeri, da 3,5 a circa 15 miliardi; in pratica una manovra finanziaria; b) lo scaricabarile di responsabilità, la Fornero rimpalla al governo, indi emerge che l’ha voluta direttamente Monti; c) il prender tempo per motivi elettorali; d) le intenzioni di aggirarne gli effetti, limitandoli solo ad una parte dei pensionati (perché?); e) le speculazioni politiche di chi la votò ed oggi si offre come paladino della giustizia [da FI ai micropartitini della destra sino al P(er)D(indirindina)].
Concordo con Liberati che ha invocato qualche giorno fa la responsabilità giuridica per le scelte politiche (lo sostengo da anni). In realtà già esiste per le conseguenze sull’erario, attraverso il giudizio dinanzi alla Corte dei Conti. Per il resto andrebbe certamente introdotta o legittimata (dinanzi alle corti, già con gli strumenti attuali) la responsabilità civile per i danni arrecati, con colpa grave o dolo, nello svolgimento delle funzioni politiche (dal consigliere di zona sino al Premier): sai che ripulisti avremmo?
In tale delirium tremens che ben rappresenta chi ci governa, non si affrontano i due gravi problemi della previdenza: il dogma (e non principio come ci voglion far credere) dei diritti acquisiti, che come sostengo da tempo potrebbe essere abbattuto semplicemente partendo dal presupposto della invalidità dei patti siglati allora perché iniqui e diseguali; il nostro vacillante “sistema a ripartizione” (secondo cui le pensioni di oggi son sostenute soprattutto dai contribuenti attivi) e che, in assenza di lavoro e con un aumento esponenziale della disoccupazione, produrrà a breve una inversione del rapporto tra passivi e attivi, ossia il default del sistema.
Dunque tutti a guardar il dito (medio, alzato, temibile) dei miliardi da scucire e nessuno che guardi la luna dei diritti acquisiti e del lavoro. Che vanno affrontati seriamente e subito. Altrimenti è giusto chiedersi oggi “vedrò mai la pensione?”.