L'Ue pensa ad azioni militari contro gli scafisti e intende convincere il Consiglio ad approvare una risoluzione che le legittimi. Ma a frenare è l'ambasciatore del paese nordafricano alle Nazioni Unite: "Consentiremo solo un’azione coordinata tra Europa ed il governo legittimo di Tobruk, che sia un’azione umanitaria". Mattarella: "Occorre consenso dei libici"
La priorità in Libia è “distruggere il modello di business dei trafficanti di immigrati ed essere sicuri che i barconi non vengano più usati” perché smantellare questa rete “significa salvare vite”. L’Alto Rappresentante dell’Ue Federica Mogherini ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu a New York di prestare il cappello ad una missione europea per il contrasto ai trafficanti nelle acque libiche, con la distruzione dei barconi, e di tutti gli “asset” dei trafficanti, “reti criminali che operano attraverso i confini, che fanno soldi sulle speranze della gente”. Uno smantellamento che deve avvenire con la necessaria collaborazione di sindaci e municipalità locali. In sostanza, l’Ue pensa ad azioni militari contro gli scafisti, e intende convincere il Consiglio ad approvare una risoluzione che le legittimi.
Ma a frenare sulla possibilità di un intervento armato è l’ambasciatore libico all’Onu, Ibrahim Dabbashi, che in un’intervista all’Ansa ha dichiarato: “Non permetteremo un’operazione militare in Libia. Consentiremo solo un’azione coordinata tra l’Ue ed il governo legittimo di Tobruk, che sia un’azione umanitaria”, precisando che “la maggiore preoccupazione è la sovranità della Libia“.
E a fronte dell’emergenza e “per evitare che la Libia rischi di diventare la base di insediamenti terroristici che sono una minaccia gravissima, non solo per l’Italia e la Spagna, ma per tutta l’Europa”, anche per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’obiettivo è un’azione concordata delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Parlando con i giornalisti al termine di una visita a Madrid, il Capo dello Stato ha però sottolineato che per intervenire è necessario il via libera del paese nordafricano: “Attendiamo le direttive dell’Onu – ha proseguito – non faremo nulla contro i libici, occorre il loro consenso“.
Ma è proprio il dialogo tra le parti quello che al momento “è complicato”, ha detto Mogherini, precisando davanti al Consiglio di sicurezza “che il nostro compito è quello di facilitarlo”. Lo stesso Dabbashi oggi ha incontrato l’ex ministro degli Esteri con la quale ha parlato degli incontri avvenuti con tutte le parti libiche a Tunisi e chiarito che tutti capiscono che l’intenzione dell’Ue è quella di lavorare con loro.
Mogherini a New York ha inoltre sottolineato l’esigenza della collaborazione internazionale perché “una situazione eccezionale richiede misure eccezionali” e la responsabilità di far fronte alla drammatica situazione nel Mediterraneo è sì europea, ma anche mondiale. “Una soluzione reale in Libia – ha detto l’Alto rappresentante – prevede una partnership con un governo di unità nazionale, ma non possiamo aspettare per salvare vite e combattere i trafficanti. Nel frattempo – ha proseguito – dobbiamo lavorare con tutte le parti nel Paese, e sino ad ora la risposta dalle diverse parti è positiva e costruttiva”.
Al Consiglio di sicurezza l’Alto rappresentante chiede l’appoggio ai piani del blocco a 28 contro il traffico di migranti nel mar Mediterraneo e per agire concretamente contro le mafie. “Ci assumiamo responsabilità e lavoriamo duramente e velocemente, ma non possiamo farlo da soli”, ha detto a New York davanti al massimo organo decisionale dell’Onu. “L’Europa – ha detto – è pronta per fare quello che le spetta. Non è sempre stato così, credo, ma ora siamo pronti”. Mogherini, ricordando poi le regole della legge internazionale, ha promesso che nessun migrante salvato dal mare sarà cacciato contro la sua volontà. E la risposta alla situazione deve andare alle radici del problema, proponendo risposte alla povertà nei Paesi di origine dei migranti e promuovendo azioni prima di conflitti e violazioni di diritti umani.
Più ancora che da motivazioni di sicurezza, ha poi precisato, l’intenzione dell’Onu è agire per motivi umanitari. E lunedì prossimo il Consiglio dei Ministri degli Esteri e della Difesa Ue prenderà la sua prima decisione in materia di politica estera e di sicurezza comune per smantellare le reti di trafficanti di esseri umani.
La redistribuzione dei richiedenti asilo – Intanto a Bruxelles il nodo della redistribuzione dei richiedenti asilo resta la partita più difficile. A due giorni dalla presentazione dell’Agenda sulle migrazioni della Commissione europea, e dopo la riunione dei capi di gabinetto per l’esame avanzato della bozza, i numeri sulle quote di migranti da ripartire tra i 28 sono ancora da decidere. Uno spazio vuoto resta accanto alla cifra dei reinsediamenti di richiedenti asilo da accogliere direttamente in Europa dai Paesi terzi. Così come vuoto resta quello destinato al numero di ricollocamenti dagli Stati in prima linea – Italia, Grecia e Malta – verso gli altri partner comunitari (si parla di una forbice 10-20mila).
Il presidente Jean Claude Juncker, ribadiscono fonti della Commissione, è deciso a portare a casa un “risultato ambizioso”, imponendo quote obbligatorie da stabilire in base a Pil, tasso di disoccupazione, popolazione, e quanto già fatto in passato in termini di asilo. Si tratta di un percorso in due tappe: una a carattere emergenziale-immediato ed una successiva, stabile, che prevede tra l’altro, il “mutuo riconoscimento” delle decisioni sull’asilo in tutta Europa (punto a cui Roma tiene molto e che era stata ad un passo dall’ottenere durante il semestre di presidenza di turno italiana del consiglio Ue).
Per l’immediato si pensa di fare ricorso all’articolo 78.3 del Trattato di Lisbona, mai applicato fino ad oggi (come del resto l’articolo 80 dello stesso Trattato e la direttiva Protezione temporanea del 2001, altre due possibili basi legali prese in esame e poi accantonate). Questo articolo, fissando una situazione di emergenza, permette l’adozione di misure temporanee e quindi di aggirare la rigida gabbia del regolamento di Dublino. In questo caso Gran Bretagna, Irlanda, e Danimarca hanno la possibilità di ‘opt out’ e quindi di non partecipare alla ripartizione, e l’ok in Consiglio arriva da una maggioranza qualificata (almeno il 55% di Stati membri ed almeno il 65% della popolazione europea).
In Commissione si lavora con “ambiguità costruttiva” in vista del collegio dei Commissari, dove nonostante si tema battaglia (varie cancellerie fanno pressing sui loro esponenti per “annacquare” il risultato) la proposta dovrebbe passare.
Se Germania, Austria, Francia, Italia, Malta, Grecia, Slovenia, Spagna, Svezia fanno parte del blocco più solidale, nel gruppo dei contrari Estonia e Slovacchia hanno già fatto outing. Il premier ungherese Viktor Orban ha definito l’idea delle quote “folle”. E in Gran Bretagna il premier riconfermato David Cameron si dice pronto “a mostrare i denti”, mentre gli Affari interni fanno uscire un comunicato: “Ci opporremo a qualsiasi proposta della Commissione Ue per quote non volontarie”. Olanda, Danimarca, Finlandia e Polonia sono sulla stessa lunghezza d’onda.