Partendo da un incontro tra gli ultimi eredi medicei del 1737, Gian Gastone e la sorella Anna Maria Luisa, Elettrice Palatina che firmò con i Lorena il “Patto di Famiglia” che cedeva i beni medicei ma imponeva che nessuna opera fiorentina fosse portata via o spostata dal Granducato, il giovane autore Gherardo Vitali Rosati (momento d’oro per lui: al Teatro Magnolfi, produzione Metastasio, va in scena in questo periodo un’altra sua drammaturgia “Fumo blu” dopo la mise en espace dello scorso anno al La MaMa di New York) ha romanzato, tra dramma salato e strappi di ilare crepuscolare, una sorta di excursus e rievocazione dei temi e dei “padri” della città, un’ultima cena alla cui mensa si accavallano, tra magnificenza e stupore, i grandi che hanno reso Firenze la meraviglia a cielo aperto che oggi si porta in dote: Brunelleschi e Leonardo, Michelangelo e Botticelli, Galileo e Raffaello e Machiavelli, secoli di arte, epopea di invenzioni.
Attraverso la regia gagliarda di Fulvio Cauteruccio (impegnato anche in un “Porcile” pasoliniano per la regia di Valerio Binasco che debutterà al prossimo “Festival dei Due Mondi” a Spoleto) che pone i due duellanti, in questo ping pong di battute feroci, una partita a scacchi giocata alla velocità di un match di pugilato con colpi su colpi senza esclusione di tiri sotto la cintura, di un incontro di tennis con lungo linea fendenti a cercare i punti deboli dell’avversario, adesso vicino e parente e complice, ora nemico, contrario, da abbattere dialetticamente. E’ un palleggiare a gran ritmo e azione. Interessante la trovata registica del ballo nel finale, una danza macabra senza contatto, a rovistare rovinosamente su se stessi, a contorcersi come cavatappi affondando nelle sabbie mobili, roteare vorticosamente nelle pieghe del tempo che fugge.
La rappresentazione oggettistica dei due fratelli perdenti e sconfitti e sconsolati, all’alba del loro tramonto, sono i fiori secchi da una parte e la candela ormai consunta e lisa dall’altra in un quadro che in un solo attimo ci concede l’aridità, la sterilità, un sentimento di patologia. I luoghi citati come per magia appaiono sui grandi schermi che addobbano la sala, una trentina per lato, pannelli (la scelta ci ha evocato la mostra “Van Gogh Alive Experience”) che t’inchiodano la vista e che rendono un seducente attrito con l’arte antica che attorno alberga e s’annida.
Visto a Palazzo di San Giovannino dei Padri Scolopi Piazza San Lorenzo, Firenze, il 2 maggio’ 15.