La mafia ancora da sconfiggere, “politici condannati che cambiano la Costituzione“, una sostanziale “immunità per la corruzione” e poi le indagini come quelle sulla trattativa Stato mafia considerate un “fastidio”. Infine l’auspicio che il ddl anticorruzione non sia “un palliativo rispetto al male”. Sono tanti i temi su cui il pm di Palermo Nino Di Matteo, pubblica accusa nel processo sul presunto patto tra pezzi dello Stato e Cosa nostra per fermare le stragi degli anni ’90, rfilette nel corso della presentazione a Roma del suo libro “Collusi”.
Ddl anticorruzione? “Serve cambio di registro non un palliativo”
“Corruzione e mafia non sono fattori distinti, sono facce della stessa medaglia. Mi aspetto che si faccia qualcosa: attualmente c’è una sostanziale immunità. Su oltre 60mila detenuti – evidenzia il magistrato – solo poche decine scontano pene per corruzione. Il sistema finora ha garantito impunità attraverso la prescrizione dei reati. Io come tutti i cittadini, ci aspettiamo fatti e non parole“.
“Fino a ora la corruzione in Italia è stata accompagnata da una sostanziale impunità, spero si approvino leggi che cambino completamente questo triste registro e credo che però si debba partire da un sistema completamente diverso del calcolo della prescrizione. Non conosco il disegno di legge anticorruzione nei particolari quindi non do giudizi, ma – prosegue Di Matteo -le linee di fondo che auspico sono quelle che ho detto e spero che non si tratti di riforme che non incidono in maniera veramente efficace e che non si rivelino soltanto un palliativo rispetto al male“.
Indagini trattativa? “Dopo Berlusconi considerate perdita di tempo”
“Il dubbio che mi attanaglia è: oggi queste indagini sono sentite necessarie dallo Stato? O sono percepite come un fastidio, come un retaggio inutile, una fissazione di magistrati complottisti e acchiappa nuvole? L’allora premier Berlusconi – ricorda il magistrato che vive sotto scorta ed è costantemente minacciato da Totò Riina – parlò subito di una perdita di tempo e di spreco di risorse pubbliche. Io non mi rassegno al fatto che quel messaggio abbia raggiunto l’obiettivo. I magistrati sentono un clima in cui questo tipo di indagini vengono considerate inutili ma abbiamo bisogno di capire e approfondire, è essenziale per la nostra democrazia. Si sente parlare con troppa superficialità del processo-trattativa: a uomini politici si contesta di aver fatto da cinghia di trasmissione da Riina fino al corpo politico dello Stato. Quando si dice che quel dialogo avrebbe evitato il peggio, si finge di non sapere quello che è attestato anche in sentenze definitive“. La mancanza di meccanismi di responsabilità politica ha creato una “sovraesposizione della magistratura. Tutto viene scaricato sulle spalle dei magistrati, sopratutto per quel che riguarda mafia e potere, come se non fosse configurabile una responsabilità di altro tipo, etica, disciplinare, deontologica“.
“Su capi dello Stato intercettati in passato nessuno ha detto niente”
Proprio sul processo la toga ricorda che in passato è capitato che alcune procure si siano imbattute in intercettazioni di capi di Stato ma senza conseguenze alcune: non così per il processo trattativa. Per cui, su decisione della Consulta, sono state distrutte le intercettazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (che aveva sollevato il conflitto) e Nicola Mancino, oggi imputato di falsa testimonianza. “Alcune procure, Milano per l’allora presidente Scalfaro, Firenze per Napolitano – ricorda Di Matteo – si sono imbattute in conversazioni con capi di Stato. La polizia giudiziaria le trascrisse e finirono sui giornali ma nessuno ha mai detto niente, pur essendo circostanze identiche e forse più gravi, non si sono avute reazioni. Invece nei confronti della Procura di Palermo, con il processo Stato-Mafia, è stato sollevato il conflitto di competenza e nei miei confronti un procedimento disciplinare. Di fronte a tutto questo c’è stato il silenzio di gran parte dell’opinione pubblica e della politica, c’è stato anche chi ci ha accusato di agire attuando un ricatto nei confronti del capo dello Stato. Siamo stati chiamati una procura sovversiva”.
“La mafia non è assolutamente sconfitta”
Per Di Matteo, ciò che serve oggi “è un salto di qualità: bisogna recidere il rapporto tra mafia e potere. Ma se ancora si dibatte sulla giustezza del concorso esterno in associazione mafiosa o se il voto di scambio viene sanzionato in modo più lieve dell’associazione mafiosa, vuol dire che non abbiamo capito nulla. La politica e la Commissione Antimafia devono andare avanti – prosegue il pm -. La mafia non è assolutamente sconfitta: anche se sono stati fatti enormi passi avanti, rimane il nodo dei rapporti altri e alti delle mafie verso i quali bisognerebbe reagire con più decisione. Sono da sempre convinto che il Dna della mafia, soprattutto di quella siciliana, è sempre uguale a se stesso anche se cambia strategia: a momenti attacca lo Stato, in altri cerca il contatto con il potere politico“.
“Nessun meccanismo di responsabilità politica”
“Purtroppo non riesco a vedere un miglioramento” rispetto agli anni della stagione stragista, “ci sono perfino sentenze definitive che non hanno nemmeno avviato un meccanismo di responsabilità politica” commenta Di Matteo. “Nessun meccanismo di responsabilità politica nemmeno da parte di chi, con la sentenza su Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi, è stato protagonista di un patto stipulato nel ’74 e fino al 1992 con le più importanti famiglie mafiose. Nonostante questo, la politica italiana non si è posta il problema se soggetti, autori di certi comportamenti, possano discutere se riformare la Costituzione“. Rispondendo ad una domanda su magistrati “prestati” alla politica, infine, Di Matteo aggiunge: “Il passaggio ci può essere e deve essere consentito ma deve essere definitivo. Se un magistrato ricopre ruoli politici difficilmente potrà apparire imparziale”.