Ci sono voluti sei anni. E nel frattempo in Parlamento è in discussione una nuova riforma della pubblica amministrazione, quella firmata da Marianna Madia. Ma la legge Brunetta, nota per volere dello stesso ex ministro e presidente dei deputati di Forza Italia come “norma anti fannulloni“, ha trovato ora la prima applicazione. Sfociando nel licenziamento e nella condanna a 16 mese di carcere per l’ex primario di anestesia e rianimazione dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, Giorgio Barzoi, che dovrà anche risarcire 30mila euro alla struttura. Stando al verdetto pronunciato lunedì dal gup di Milano Paolo Guidi, Barzoi era solito timbrare il cartellino e poi andarsene. Oppure presentare autocertificazioni che attestavano la sua presenza in reparto mentre si trovava da tutt’altra parte.
Una situazione emersa già l’anno scorso, quando le indagini di polizia e carabinieri coordinate dal pm Paolo Filippini avevano permesso di verificare 145 giorni di assenteismo. Più di due mesi erano stati “coperti” grazie all’aiuto della collega Roberta Tuveri, condannata a sua volta a 8 mesi di carcere, mentre per gli altri 66 giorni lo stesso primario aveva appunto falsamente autocertificato la propria presenza. Davanti alle continue assenze era scattata anche la rivolta di colleghi e infermieri, con tanto di gruppo Facebook “Lavoratori onesti del Fatebenefratelli”. Per questo Barzoi, chiamato al Fatebenefratelli nel 2011 dal direttore generale Giovanni Michiara (considerato “in quota Forza Italia”), aveva dato le dimissioni dall’incarico di direttore dell’intero dipartimento dell’emergenza-urgenza, che gli era stato affidato nel luglio 2013.
Sia l’ex primario sia la collega hanno scelto di essere processati con rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Barzoi ha tentato di giustificarsi affermando, sulla base del fatto che i primari non sono in effetti soggetti a obblighi di orario, che “il rendimento di un medico non si può giudicare da quante volte timbra il cartellino” e rivendicando di aver sempre ottenuto “ottimi risultati” nel corso della carriera, nonostante la lunga lista di assenze contestate dalla Procura di Milano. La prima obiezione gli è in effetti valsa l’assoluzione dall’accusa di truffa ai danni dell’azienda ospedaliera, ma il pm in extremis ha modificato l’imputazione in “falsa attestazione o certificazione della presenza in servizio“, fattispecie di reato introdotta appunta dalla riforma Brunetta sulla pubblica amministrazione e punita con uno-cinque anni di reclusione, il risarcimento del danno pari allo stipendio illecitamente percepito e il licenziamento disciplinare.