Il 30enne, al termine della corsa nei pressi di Ponte Galeria (periferia di Roma), ha picchiato la donna costringendola a un rapporto orale. Dopo il fermo ha confessato ed è stato portato al carcere di Regina Coeli. La tassista dice: "Tornerò a lavorare, ma rimarrà sempre la paura e il ricordo di quella maledetta corsa in taxi". La madre dell'uomo: "Non è un mostro, è il figlio di un padre alcolizzato"
“La mia vita è rovinata per sempre. Quello che ha lasciato in me non passerà mai, continuerò sempre ad avere paura. Dovrebbe rimanere in carcere a vita”. È la voce della tassista abusata venerdì scorso a Roma, intervistata da Repubblica. Non si sarebbe mai aspettata la violenza, non a quell’ora, né in quel luogo: “La mia terribile esperienza è cominciata in un quartiere tranquillo di Roma e di mattina”. Ma la donna è certa, non lascerà il suo lavoro: “Quella sensazione di sentirmi davanti a lui inerme ed implorante mi ha distrutto. Piango di continuo ripensando a ciò che ho provato durante quella maledetta corsa in taxi. Tornerò a guidarlo, è il mio lavoro, non so quando ma ricomincerò”.
Dall’altra parte, l’aguzzino racconta la stessa storia, dal suo punto di vista. E le sue parole, messe a verbale dagli inquirenti, sono riportate sul Messaggero. Simone Borgese ha confessato quasi subito, in Questura, di essere il responsabile dell’abuso: “La violenza è stato un raptus improvviso, neanche io so perché l’ho fatto”. Lui, Simone, un ragazzo 30enne, un volto pulito con alla spalle l’esperienza della separazione dalla moglie e l’affido a lei della sua bambina. Fino al fermo viveva con i nonni a Piana del Sole, proprio nei pressi del luogo della violenza. La mattina del raptus, l’ 8 maggio, stava aspettando l’autobus. Il mezzo non passava, quindi ha deciso di fermare il taxi: “Sapevo che vicino a casa dei nonni c’era una strada chiusa. Ho chiesto alla donna di lasciarmi lì anziché sotto casa. Il prezzo della corsa era circa 30 euro. Sono balzato sul sedile davanti. Mi sono sbottonato i pantaloni ed è successo quello che è successo. L’ho costretta ad un rapporto orale”.
La tassista racconta così la stessa storia: “Avrebbe dovuto pagare poco più di una ventina di euro. Ha iniziato a gridare, offendermi, insultarmi. Ha voluto salire sul sedile davanti per controllare il tassametro. Appena entrato in auto dal lato del passeggero mi ha subito dato un pugno sul viso che mi ha fatto sbattere la testa sul finestrino. Con una mano continuava a spingermi la testa con violenza e con l’altra mi prendeva a schiaffi e pugni. Ad un certo punto mi ha afferrato per i capelli, avevo iniziato a sanguinare dal naso e quasi non ci vedevo più. Ricordo solo l’odore e il sapore del sangue che perdevo e avevo ovunque mentre abusava di me. Aveva una forza sovrumana e mi guardava fisso con due occhi spiritati. Temevo di morire “.
Borgese non ha saputo dare una vera spiegazione per il suo gesto: “Non so cosa mi sia successo, ero molto nervoso quella mattina e mi sono sfogato su quella donna. Era così attraente“. Uno stato d’animo di tensione questo, di cui si era accorta anche la tassista: “Aveva iniziato a sudare e a essere molto irrequieto. Teneva lo sguardo basso e si agitava. Mi metteva fretta dicendomi di sbrigarmi e di accelerare”. Lui aveva l’apparenza del ‘tipico bravo ragazzo‘. Aveva frequentato l’istituto alberghiero, lavorava in un bar come cameriere. Poi c’era la passione per la Roma, per i film comici, per i videogiochi. I colleghi lo descrivono come un tipo “tranquillo e solare, sempre positivo e molto professionale. Nelle foto su facebook rideva, si metteva in posa, come un normale ragazzo della sua età. Poi il suo profilo è stato chiuso, per via della pioggia di insulti che stava ricevendo. Ma Simone aveva anche un’altra faccia: quella del duro che scriveva sui social: “A me i piedi in testa non li mette nessuno”. Anche per il suo datore di lavoro c’era qualcosa che non andava: “Chiedeva spesso anticipi sullo stipendio, una volta ha detto che era per il funerale del padre”.
A parlare di Borgese è anche sua madre, che su Il Tempo commenta così: “Mio figlio deve pagare per quello che ha fatto. Però vi prego di credermi, vi supplico: Simone non è un mostro, è il figlio di un padre alcolizzato, un barbone, un violento con il quale ha vissuto da quando me ne sono andata via di casa nel 2005, stanca di essere picchiata e maltrattata ogni giorno”. La donna aggiunge: “È un ragazzo che ha sofferto, e anche se voi pensate che le parole di una mamma non contano niente, è quella la causa di tutto. Non è cattivo. Io non voglio giustificarlo ma insisto, Simone non ha avuto una vita facile. Quando me ne sono andata di casa, lui è cresciuto con il padre che ci ha lasciato tantissimi debiti”. La madre poi sottolinea come il figlio sia peggiorato dopo la separazione dalla moglie: “Si è sentito abbandonato due volte. Prima da me, dieci anni fa, poi dalla moglie. Soffriva da morire”.
Borgese è stato preso grazie ad un identikit e alla testimonianza di un collega della donna, che ha riconosciuto l’uomo. Una volta non gli aveva pagato la corsa, per questo si era fatto lasciare il numero di telefono. E così le forze dell’ordine sono risalite al 30enne, che ha confessato l’aggressione: “Lo confesso subito e mi tolgo un peso, sono stato io: chi cercate sono io”. È stato quindi mandato al carcere di Regina Coeli, poi la Procura di Roma ha inviato al gip la richiesta di convalida del fermo e l’emissione del provvedimento di custodia cautelare in carcere. Il 13 maggio è fissato l’interrogatorio di garanzia a Regina Coeli, Borgese risponderà alle domande del gip Flavia Costantini che dovrà decidere sulla convalida dell’arresto sollecitata dal pm Eugenio Albamonte.