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Varoufakis vs Schäuble: due simboli a confronto. Chi vince e chi perde

Sul fatto che i greci fossero degli abili sofisti non potevamo avere dubbi. Eravamo privi della possibilità di essere scettici anche sul fatto che il rapporto tra Yanis Varoufakis e Wolfgang Schäuble potesse non essere travagliato. Eppure non riusciamo ad evitare di prendere le parti di uno dei due protagonisti di quella “sfida” che molti definiscono uno scontro tra Davide e Golia. Da una parte il volto abbronzato, la giacca scura, la mandibola pronunciata, il sorriso aperto. La tranquilla e serafica calma di chi finge di non avere più nulla da perdere. Yanis Varoufakis è un uomo al quale noi europei non riusciamo a negare le nostre simpatie in questo momento storico. Anche nei freddi e grigi corridoi che ospitano le riunioni dell’Eurogruppo si vocifera di funzionari, tecnici di supporto e semplici uscieri che, pur dovendo mantenere il loro solito aplomb durante le riunioni negoziali, si rivolgerebbero al ministro delle Finanze greco sussurrandogli frasi del tipo: “Bravo, vai avanti”, “Non mollare”, “Sei tutti noi” e via dicendo. Insomma, quell’uomo ci ha già sedotto ancor prima di parlare. Incarna il simbolo della ribellione a quest’Europa dell’austerità, ormai inviso a tutti perché causa omnia malorum. Quella ribellione che anche i nostri governi vorrebbero osare ma non osano. Finché quest’uomo resisterà il fascino della lotta non abbandonerà, ai nostri occhi, il suo volto.

Dall’altra, un viso assai meno attraente ad un primo sguardo. Un uomo sulla settantina su una sedia a rotelle. Eh si, perché Wolfgang Schäuble, la controparte tedesca di Varoufakis, è rimasto paralizzato in seguito a un attentato. Tre mesi dopo era già a lavoro. Convinto federalista non è mai stato considerato un oppositore dell’integrazione europea in Germania, anzi tutt’altro. Dalla fine del 2009 ha gestito la crisi insieme ad Angela Merkel. Si dice che sia lui il vero termometro del governo tedesco sulla questione greca. Potrei andare avanti ma non lo farò. E’ evidente che le differenze antropologiche tra i due sono enormi, eppure c’è qualcosa che accomuna questi uomini che oggi si trovano a rappresentare, sul proscenio europeo, poli opposti. Sono le dichiarazioni d’amore che entrambi fanno all’Europa con modi e toni diversi.

Varoufakis afferma che l’uscita della Grecia dall’euro è un pensiero proibito. Che la Grecia ha pagato il prezzo più alto dall’inizio della crisi perché è stato il primo Paese europeo a “cadere dai mercati”. Che il tasso di austerità applicato alla Grecia, di cinque o sei volte superiore a quello imposto a Portogallo, Irlanda o Spagna, ha compromesso la tenuta sociale del Paese determinando un aumento esponenziale della povertà. Nonostante ciò, per il responsabile delle finanze greche, occorre restare in Europa ma per cambiarla.

Schäuble, pur avendo rotto il tabù sull’irreversibilità dell’euro sostiene che nessuno voglia l’uscita della Grecia dalla moneta unica ma che la scelta su cosa fare non tocchi a lui, bensì ad Atene. Dal punto di vista pratico però, le cose sembrano essersi seriamente complicate. Schäuble accusa i rappresentanti del popolo greco di non voler rispettare gli accordi presi dai precedenti governi sulle riforme, impegni presi come controparte per gli aiuti. I creditori chiedono ad Atene di approvare almeno uno dei tre provvedimenti sul tavolo: lavoro, fisco o pensioni. Atene risponde di non essere disposta a scendere a compromessi e propone misure di minore impatto in termini di risanamento di bilancio, in profondo rosso, chiamando in causa il mandato ricevuto con la propria vittoria. I critici del governo greco affermano che rinviando le spese per gli ospedali, gli investimenti già avviati e raccogliendo fondi da ogni cassa pubblica il governo avrebbe reso ancora più costoso un fallimento dei negoziati per la società greca. Intanto il Parlamento di Atene ha approvato leggi che prevedono un aggravio della spesa praticamente da quando Tsipras e i suoi ministri si sono insediati.

Il debito pubblico è tornato a salire. Gli accordi del 2012 prevedevano una discesa del debito fino al 110% del Pil, dal 175% di oggi, nel 2020. La quadratura del cerchio non torna. Questo è un gioco pericoloso: a perdere potrebbero non essere solo la Grecia o la Germania ed i rispettivi governi, ma tutti i cittadini europei. Costruire la fiducia è un processo che si basa sui fatti e non sulle parole. Mr. Varoufakis, pur godendo di tutta la nostra simpatia, dovrà capirlo. Su una cosa ha però ragione: rifiuta la nuova ed ultima tranche del pacchetto di aiuti a meno che la Grecia, dice, non sia messa nella condizione di poterli onorare. In effetti è da troppo tempo che i crediti concessi lasciano pochissima speranza sulla propria solvibilità. D’altra parte la condizionalità deve restare imprescindibile. La Grecia ha già ottenuto una ristrutturazione del debito nel 2012 che, insieme al piano di salvataggio concordato, doveva costituire una delle due facce della medaglia della strategia per rimettere in sesto l’economia del Paese evitando il default. Com’é noto l’80% del debito greco è detenuto da istituzioni pubbliche, quindi l’eventuale impatto dell’insolvenza arriverebbe attutito. Tuttavia la reversibilità dall’euro comporterebbe conseguenze che nessuno può, al momento, prevedere.

Al di là del gioco delle parti dovremmo tutti augurarci che l’accordo si trovi. Lunedì prossimo è fissato un nuovo incontro dell’Eurogruppo e si riunirà anche l’Euro working group. Comunque vadano, tra giugno e luglio avremo il momento della verità. Certo, non mancano le scadenze prima di allora. Il tempo sta finendo, come hanno detto in molti. La lunga saga della vicenda greca sembra godere di attenzione alterna da parte dei cittadini ma certamente gode di quella perenne dei mercati. Faremmo bene a seguire il loro esempio in questo. A rimetterci potrebbero essere ancora una volta famiglie e imprese. E’ ora di rendersi conto che, questa volta, Davide e Golia stanno dalla stessa parte.