Uno scrittore vive di parole, sono la materia prima del suo lavoro, le modella, le accoppia, dà loro un corpo che le rende coerenti con il pensiero. Ora, le parole di Erri possono non piacere, si può dissentire dalle sue opinioni, le si può condannare con altre parole contrarie, ma processarle significa assumere il principio che esistano in assoluto opinioni giuste e altre no. La libertà di parola e di opinione è uno dei fondamenti della democrazia eppure non si sono sentite molte voci levarsi non dico in sostegno, ma almeno per esprimere solidarietà allo scrittore napoletano.
Soprattutto tra coloro che come lui di parole vivono, scrittori, giornalisti, intellettuali, che più di altri dovrebbero sentire sulla propria pelle l’alito cattivo della censura. Silenzio. Sono arrivate dalla Francia parole di appoggio, ma poche, pochissime dall’Italia.
Erri De Luca è personaggio spigoloso, dal carattere scolpito nel legno come il suo viso, non è uno che si concede alla mondanità né dall’amicizia facile, non fa nulla per essere simpatico a tutti, ma non per questo deve essere lasciato solo. Colpisce, invece un certo silenzio attorno a questo processo. Un silenzio che rivela quanto in questo paese si stia ogni giorno di più, in perfetta sintonia con lo schema politico dominante, diffondendo il pensiero unico, l’acquiescenza. Con modalità renziane o grilline chi dissente viene immediatamente demonizzato, denigrato, guai a chi non si allinea alla modernità e al nuovo, che deve essere giusto per forza e pertanto piacere a tutti. È l’idea di base del partito della Nazione, un assurdo ossimoro politico: se è della Nazione tutta, come può essere un “partito” la cui etimologia deriva da “parte”? “Which side are you on?” cantavano Woody Guthrie e Peter Seeger. “No one” potrebbero solo rispondere i fautori di quel partito.
Lasciare solo Erri De Luca, privarlo delle nostre voci, soprattutto di noi che sulle parole ci viviamo e costruiamo le nostre carriere è un gettare la spugna davanti all’omologazione emergente. Ricordiamoci le parole del grande George Orwell, uno che di omologazione se ne intendeva: «Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire».
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