Valerio, che ricordo hai dell’esperienza a The Voice?
È stato un viaggio strano. Non avevo mai visto né X-Factor né The Voice, non perché sia contro questo tipo di televisione, ma perché quando la musica è priva di identità e di cuore, non serve a niente. Per questo ho sempre fatto musica in maniera artigianale, però quando sono venuti a cercarmi, perché volevano una figura come la mia all’interno del programma, e soprattutto, la ragazza che è venuta a cercarmi era una mia fan, conosceva tutte le mie canzoni, mi sono convinto ad andare. Quando ho firmato il contratto sono stato l’ultimo a farlo.
Da cosa dipendevano le tue perplessità?
Io già sono un musicista, ho già inciso sei album, già ho fatto qualche pezzo che la gente ricorda pure, suono con i 99 Posse e quest’estate ho in programma già 60 date. Se devo andare per fare una canzone che non è la mia, quando io amo scrivere canzoni, che vado a fare? Ma poi mi hanno permesso di portare il Reggae in tv alla mia maniera e inoltre non mi hanno fatto togliere i miei due polsini e il cappello, non privandomi della mia identità. Di compromessi non ho dovuto farli. Ho detto la mia ed è stata accettata. Questa scelta e questo mio modo di pensare, con un coach come J-Ax potevano andare in porto. La mia grande paura è stata alla prima puntata, quando i giudici sono di spalle e si girano solo se sono incuriositi da te. Dentro di me speravo che si girasse J-Ax ed è grazie a lui se ho potuto fare reggae poppizzato. Lui era il primo a difendere le mie istanze, mi è andata bene perché oggi, dopo tanti anni di ricerca musicale, sono riuscito a imporre il mio punto di vista. Ho persino cantato Like a virgin di Madonna facendola diventare reggae. Sono cose che ricordo con orgoglio e soprattutto a testa alta. The Voice oggi fa parte del mio personale viaggio.
Alla fine, dunque, hai cambiato opinione sui talent.
Se privo di cuore, i vincitori del programma saranno sempre i coach e i produttori del programma. Quando invece riesci a imporre la tua personalità, come canto in Vivo in un reality show, riesci anche a sopravvivere e io assolutamente non volevo morire con un reality show ma volevo andare avanti, e l’ho utilizzato come trampolino di lancio, come megafono.
Qual è la tua opinione su Suor Cristina?
Parto dal presupposto che da giovane, io ho deciso di fare il cantante, mentre non so se lei ha deciso di fare la suora o la cantante. Secondo me, se non si fosse presentata con quella tonaca non sarebbe stata la vincitrice del programma. Ne ero convinto e ne sono convinto tuttora, perché una cosa è essere un fenomeno mediatico, un’altra è fare poi il musicista o l’artista. Per me non ha una gran voce come si diceva un po’ ovunque. Alla fine del programma rilasciai un’intervista molto forte. Io che ero stato uno dei coccolati del programma, perché avevo fatto il picco d’ascolto, dopo quell’intervista fui abbastanza messo da parte. Semplicemente perché avevo detto quel che pensavo su di lei. Però, un autore mi guardò e mi disse: ricordati che noi qua stiamo facendo televisione, non stiamo facendo musica. Ho alzato le mani.
Raffaella Carrà di te ha parlato molto bene.
Lei è extratelevisivo, è un personaggio quasi mitologico, entrare nelle sue grazie o semplicemente essere così ben descritti da lei che da 50 anni fa televisione, sentirmi dire che sono un grande artista è un gran stimolo, è qualcosa che mi rimane dentro.
Nel tuo nuovo album ci sono diverse collaborazioni. Come le hai scelte?
Odio le collaborazioni stabilite a tavolino, ma siccome mi sento fortemente rappresentante della musica napoletana, in questo disco volevo metterci quelli che per me sono gli artisti di maggior valore nella musica napoletana. A partire da ‘O Zulu col quale collaboro da anni. Amo le persone vere e lui, seppur con tutte le difficoltà, lo è.
Di’ la verità: tu vuoi diventare famoso.
Quel che voglio è confermare di essere Valerio Jovine in quel che faccio e in alcuni momenti riesco a vederlo anche nella risposta del mio pubblico. Sono nato nella città di Renato Carosone, di Pino Daniele, di artisti importanti e se vuoi fare il musicista per fare ‘o bellill, per farti conoscere, è meglio che nemmeno ci provi. Personalmente consiglierei di fare un altro mestiere. Se la vivi come una missione, come una cosa importante, che gli dai valore, allora è diverso: io voglio vivere con la mia musica.
Il disco l’hai dedicato a Pino Daniele…
Vivere in una città come Napoli, che ti dà così tanto calore, ma a volte quello stesso calore diventa soffocante quando diventi come lui, porta a fare scelte che non vengono capite o condivise. Ha fatto la scelta di andare via da Napoli, di vivere a Roma, e per questo è stato criticato, però noi artisti delle generazioni post Pino Daniele ci portiamo dietro un bagaglio enorme grazie alle sue canzoni e alle sue parole, da andare a scoprire, da attingere, da leggere e rileggere ogni giorno per imparare qualcosa di nuovo. Da una sua canzone traggo sempre un insegnamento. Lui è andato anche al di là della sua stessa bravura.