La Buona scuola, c’è posta per Renzi. Lettera di risposta a quella inviata agli insegnanti dal premier
Gentilissimo Presidente del Consiglio, oggi ho ricevuto la sua lettera. So bene che era una missiva a senso unico. Io so che non arriverò a lei: la sua è stata solo un’operazione di comunicazione. Eppure facciamo finta che lei faccia sul serio, che abbia intenzione di raccogliere le nostre osservazioni. Ho letto pagina per pagina la bozza iniziale della “Buona Scuola”, ho studiato il disegno di legge proposto alla settima Commissione ed ora ho visto uno ad uno gli emendamenti approvati e il testo che da stamattina esamineranno alla Camera.
Entriamo nel merito delle questioni senza fermarci alla demagogia che pure lei ha usato nella lettera e nel video dove ci spiega la riforma alla lavagna.
- Lei vanta l’assunzione di oltre centomila precari. Sono il primo a darle ragione: non poteva certo dare un posto a tutti. Bene ha fatto ad azzerare le Graduatorie ad esaurimento ma oggi il problema è come lei assumerà non tanto quanti ne prenderà. Ci spiega perché l’Italia dovrà essere l’unico Paese in Europa ad avere una sola persona, il dirigente, a “proporre incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento” (art.7)?
Non solo, se come scrive lei nella lettera che mi ha inviato ieri, “nessuno può essere licenziato dopo tre anni”, perché nel ddl avete specificato che “la proposta di incarico da parte del dirigente avrà durata triennale”?
Ancora: sempre lei scrive che il preside “non può chiamare la sua amica/o ma sceglie i vincitori di concorso”. Certamente, ma li individua tra centinaia di persone e tra queste centinaia vi sarà chi tenterà la strada della telefonatina.
Restiamo sul tema delle assunzioni: il suo piano straordinario prevede che vengano assunti nell’ambito della regione per il 50% i vincitori di concorso e per il restante 50% dei posti vacanti quelli delle Gae. Quelli che residuano saranno assunti nel limite dei posti rimasti eventualmente vacanti nell’organico dell’autonomia nazionale: questo significa che un docente di Mantova potrebbe finire a Palermo?
- Parliamo di questa questione del “più soldi agli insegnanti” che ha scritto alla lavagna e nella lettera. Dire 40 milioni di euro può apparire tanto ma io ho il vizio di fare quattro conti. Gli insegnanti in Italia sono circa 721 mila. Ciò significa che avremo 55 euro a testa per la formazione: una cifra che non basta a pagare un’andata e ritorno a Roma per partecipare ad un corso di formazione (lasciando perdere il pernotto a carico nostro).
Lasciare che vi sia una caduta a pioggia di 500 euro che qualche insegnante potrebbe usare anche per andare a vedere al cinema “Cinquanta sfumature di grigio” (visto che non è specificato nulla all’art.10), forse è un po’ azzardato. Non sarebbe stato meglio se il governo avesse individuato gli ambiti di formazione necessaria investendo lì i 381,137 milioni di euro previsti per la card? Mi permetto di suggerire due ambiti: lo studio dell’inglese e la formazione digitale.
- Veniamo al merito. Giusto, non possono andare a tutti i soldi destinati a questo obiettivo. Ma pensare che il Comitato di valutazione sia composto da due docenti scelti dal consiglio d’istituto e da genitori altrettanto individuati dal consiglio d’istituto fa pensare che lei non conosca come funzionano (male) gli organi collegiali. Forse non era corretto lasciare che gli insegnanti fossero democraticamente eletti dagli stessi e così i genitori?
Ma veniamo ai criteri per la valorizzazione del docente. Tra questi vi è una dicitura pericolosa: “Sulla base dei risultati ottenuti dal docente in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni”. Come si può misurare questo lavoro? Il docente che lavora in una classe dove ci sono undici bambini su quindici con difficoltà diverse, sarà penalizzato? Oggi dobbiamo valorizzare quegli insegnanti che stanno in queste classi, nelle aule dove le competenze degli alunni sono scarse e non certo per demerito dei professori.
- All’articolo 5 sull’innovazione digitale e didattica, il ddl cita il potenziamento degli strumenti didattici, la formazione dei docenti, il potenziamento delle infrastrutture di rete e molto altro. Per fare tutto ciò destina per il 2015, 90 milioni di euro e dal 2016 trenta milioni. In tutto tra 2015 e 2016 sono 120 milioni. Anche qui vale la pena fare due calcoli, prendendo la cifra e dividendola per il numero di istituzioni scolastiche: ne esce circa 14 mila euro ad istituzione, 2800 per plesso. E’ sicuro che si riesce a fare tutto ciò che ha previsto con queste cifre?
- Affrontiamo la questione scuole paritarie. Come mai nel primo testo era prevista la detraibilità delle spese solo per l’infanzia e il primo ciclo di istruzione e ora spunta anche la riga “nonché la scuola superiore di secondo grado”?
- Lei si è tenuto con l’articolo 21 ben tredici deleghe per fare decreti legislativi, entro un anno e mezzo dall’entrata in vigore della Legge, su materie di non poco conto: non sarebbe stato più onesto presentare al Parlamento alcune delle Leggi che sono già nel cassetto vedi il tema diversamente abili e organi collegiali?
- Nel ddl non c’è una riga sugli Ata, che fine hanno fatto? O forse non li considera all’interno del sistema di istruzione?
- Forse dovrebbe poi spiegare non a me e tantomeno ai sindacati ma agli italiani perché non ne vuole sapere di scorporare le assunzioni e lasciare che si riapra un serio dibattito su tutto il resto del disegno di legge.
Aspetto le sue risposte, certo che non arriveranno mai. Ma anche questo servirà quando andrò a votare.
Intanto, buon lavoro.