Mentre a Cannes viene presentato il nuovo Mad Max-Fury Road con Tom Hardy e Charlize Theron è possibile rivedere in homevideo la trilogia originale che dal 1979 segnò con il regista George Miller una nuova strada per il cinema
Da noi iniziava il quinto governo Andreotti, il terrorismo imperversava con gli omicidi di giudici, giornalisti e ufficiali. A Teheran tornava Komeini dopo l’esilio e Saddam Hussein veniva eletto presidente della Repubblica in Iraq mentre nel Vecchio Continente la Thatcher vinceva le elezioni e Sid Vicious dei Sex Pistols moriva di overdose. Invece gli Usa sfornavano al cinema Manhattan e Kramer contro Kramer, ma anche Apocalypse Now, Alien, e I Guerrieri della Notte. Era il 1979. Anno più controverso o semplicemente pessimistico, visti i panorami futuri di politica e magistratura italiani, di politiche del lavoro inglesi, autodistruzioni punk, Medio Oriente in rotta di collisione e cinema americano alle prese con violenze e separazioni di vario genere?
In chiave del tutto inedita, la trilogia di George Miller parlava di un eroe duro e solitario, carico di dolore per lo sterminio della sua famiglia e di vendetta verso i colpevoli che non riesce a non salvare i pochi buoni trovati sulla sua strada. Una mescolanza tra western, roadmovie e film d’azione che resero Gibson nuova star di Hollywood. In Mad Max 2–The Road Warrior si attingeva ad archetipi omerici ispirando tanto film come The Hitcher e Fast & Furious quanto cartoni animati cult come Ken il Guerriero. Primo film australiano in widescreen a lenti anamorfiche, Interceptor, è contenuto con i suoi seguiti nei cofanetti in Dvd e Blu-Ray intitolati Mad Max Trilogy. Per la prima volta la Warner Bros propone tutti insieme i tre capitoli della saga che dal Festival di Cannes 2015 riprende vita per il reboot con Tom Hardy nei panni di “Mad” Max Rockantansky e una Charlize Theron nuova eroina tra motori e deserti, con la regia inossidabile di Miller.
Nell’ultima versione homevideo tra gli Extra ci sono i commenti del regista e del direttore della fotografia Dean Semler, con un’introduzione di Leonard Maltin, celebre critico americano, a parlare di alcune suggestioni. Non una quantità ricchissima di quelli che siamo abituati ad avere su supporti di produzioni più recenti come gli Spider-Man o i vari Signori degli Anelli. Si parla di una saga finita esattamente trent’anni fa, in piena era di videocassette.
Miller torna sul grande schermo con un nuova versione del suo miglior cavallo di battaglia proprio nella crisi del nuovo millennio, dove il terrorismo è più articolato e mimetico che mai, l’energia ha già prodotto i suoi danni collaterali tra inquinamento e radiazioni, mentre l’ambiente medita e combatte per nuove soluzioni biocompatibili. E la violenza, quella di strada che fa da polvere da sparo a tutto il giocattolone hollywoodiano? La “Halls of Justice” di Interceptor, il quartier generale della polizia futuristica alla quale apparteneva il character di Gibson, aveva un ingresso con la scritta in ferro battuto trucemente simile a quella di Auschwitz “Il lavoro rende liberi”. Un’ombra di ieri che nel nuovo lavoro muterà in chissà cos’altro. Una volta era soltanto l’arte pittorica a infatuare di bellezza quanto a scandalizzare per atrocità narrativa di cose reali. Da un secolo questa funzione sociale l’ha acciuffata il cinema deformandola, e come spesso accade, l’homevideo ci impacchetta tutto per una comoda visione da salotto.