La Repubblica Democratica del Congo, l’enorme Paese della regione dei grandi laghi, è noto per le ricchezze del suo sottosuolo: dai diamanti all’oro, dalla cassiterite al coltan, senza contare il petrolio e l’uranio. Questa volta però è la fertilità del terreno ad essere al centro dell’attenzione. Il paese possiede una distesa di 80 milioni di ettari coltivabili. Il 70% della popolazione è impiegata in agricoltura.
Con questi numeri la Repubblica Democratica del Congo dovrebbe essere in grado di esportare cibo in tutto il continente. La varietà di climi, la fertilità del terreno e l’abbondanza di acqua garantiscono due raccolti all’anno e un’ampia varietà di colture. Non solo la Repubblica Democratica del Congo è sempre più dipendente dalle importazioni del cibo, ma non è nemmeno in grado di soddisfare la domanda interna. La produttività agricola è molto bassa e, secondo la Banca Mondiale, è rimasta invariata dagli anni ’80 ad oggi. Gli investimenti si sono sempre concentrati sul settore minerario e il conflitto latente con i gruppi armati nell’Est del Paese ha attirato le energie del governo. Per invertire la tendenza ed aumentare la produttività agricola il governo ha deciso di realizzare parchi agro-industriali, in 4 siti pilota. Gli investimenti fanno parte del Piano nazionale per l’agricoltura 2013-2020 che vuole garantire la sicurezza alimentare e sviluppare la filiera agricola. Le terre sono destinate alla produzione agricola a fini commerciali. In totale i parchi identificati dovranno essere una ventina. I siti pilota si trovano nella regione orientale del Sud Kivu (una delle più ricche anche di minerali), nella confinante provincia del Maniema e due in quella orientale del Bandundu. Dei contratti che stanno alla base di questo progetto si conosce molto poco. I parchi agroindustriali verranno dati in gestione per almeno 10 anni a società a capitale misto pubblico-privato. “ Il governo congolese non ha ancora presentato in modo trasparente ed esaustivo questo progetto” spiega Jean Jeacques Grodent dell’ong belga SOS Faim che sta monitorando l’iniziativa di Kinshasa. Nel dossier dell’ong si legge che i parchi verranno affidati a imprese congolesi associate a sudafricane come Triompf, Suidwes e Agri Net, partner della multinazionale svizzera Syngenta. Cosa si coltiva? Nel primo sito pilota di Bukanga-Lonzo sono previsti 75 mila ettari per la produzione di mais, manioca e soia. Fino ad ora, spiega Jean Jeacques Grodent la maggior parte della produzione si è concentrata sui cereali.
La scelta di destinare delle aree a parchi agro industriali non è stata indolore per la popolazione locale. A Sos Faim sono arrivati gli appelli dei coltivatori locali che hanno denunciato l’esproprio illegittimo delle loro terre. Alcuni contadini hanno raccontato di essere stati risarciti unicamente con tessuti o utensili. Nulla che potesse effettivamente compensare la perdita della terra. Nessuna garanzia per la loro sopravvivenza futura. Eppure nelle intenzioni del governo, almeno sulla carta, c’è l’integrazione delle coltivazioni agroindustriali con quelle dei piccoli produttori, delle zone confinanti. Tra i finanziatori del progetto c’è anche la Banca Mondiale. Il governo congolese, per favorire l’ingresso di investitori, ha deliberato incentivi fiscali e ha abolito le tasse di importazione su macchinari agricoli e di esportazione per i prodotti. Nessuna garanzia, dunque, che mais, soia e manioca vengano commercializzati all’interno del Paese. L’obiettivo di raggiungere la sicurezza alimentare, dunque, si allontana.