Si è concluso la settimana scorsa, con la vittoria del Caldas, il primo campionato di calcio colombiano disputato tra ottanta degli oltre cento diversi gruppi di nativi che abitano il Paese sudamericano. Circa due milioni su una popolazione di cinquanta. Il Campeonato Nacional Más Allá del Balón, organizzato dalla Organización Nacional Indígena de Colombia (Onic) come “atto politico di denuncia dei soprusi che ancora patiscono i nativi” era cominciato addirittura nel 2013. Ma per le ovvie difficoltà logistiche di fare incontrare tra loro squadre che si sono messe in marcia dal sudest amazzonico come dal deserto del nordovest, dai rilievi andini centrali e dalla giungla occidentale, la fase finale si è disputata a Bogotá solo alla fine di aprile del 2015. Nella capitale si sono presentate le dieci squadre vincenti dei rispettivi campionati regionali, in rappresentanza quasi mille ragazzi che hanno preso parte alla manifestazione, e alla fine ha vinto il Caldas 2-1 sullo Zenú.
“Il Campeonato Nacional Más Allá del Balón oltre ad avvicinare allo sport i giovani delle tribù (oltre il 70% dell’intera popolazione nativa ha meno di 25 anni, ndr.) e a tenerli lontani dai gruppi paramilitari, serve anche a fare incontrare gruppi con abitudini e tradizioni assai diverse tra loro, per favorirne l’integrazione”, come ha spiegato il portavoce dell’Onic Juan Pablo Gutiérrez. Quando nel 1991 la Costituzione colombiana ha riconosciuto i diritti dei nativi, attribuendo loro status giuridico e controllo delle terre utilizzate collettivamente, sembrava fossero stati fatti molti passi avanti rispetto all’inizio dello secolo: quando uno degli sport più diffusi delle élite colombiane era la caccia all’indigeno. Ma ancora nel 2009 la Corte Costituzionale colombiana ha riconosciuto il pericolo dell’estinzione dei nativi e della sparizione delle loro terre.
Lo sfruttamento delle materie prime di cui sono ricche le zone da loro abitate, dalle miniere di zinco e carbone all’estrazione di gas naturali e petrolio, ha inquinato l’acqua necessaria alla sopravvivenza, malnutrizione e mortalità infantile raggiungono picchi altissimi. I paramilitari, denunciano le organizzazioni non governative, fanno il resto. Quello colombiano non è il primo campionato di calcio per nativi, dopo il Cile che ha aperto la strada sono arrivati anche Ecuador e Bolivia, e ora si punta alla creazione di un campionato continentale per nazionali. Dall’anno prossimo, infatti, si dovrebbe giocare proprio in Colombia anche una Copa America per nativi: la Copa América de los Pueblos Originarios. Volto simbolo della manifestazione è Elias Figueroa, leader del Cile ai Mondiali del ’66, ’74 e ’82 e considerato uno dei migliori difensori di sempre. A presentare il Campeonato Nacional Más Allá del Balón a Bogotá c’era invece il mitico Carlos Valderrama, giocatore sopraffino, idolo della Colombia e non solo negli anni Novanta.
Dal 2013 infatti, parallelamente alla partenza del campionato, Valderrama è stato nominato commissario tecnico della nuova nazionale colombiana dei nativi. Dietro Radamel Falcao, James Rodríguez e Juan Guillermo Cuadrado, i giocatori più rappresentativi della nouvelle vague colombiana, che benissimo ha fatto agli ultimi Mondiali di Brasile 2014 e che dal prossimo 11 giugno sarà impegnata in Cile nella Copa America 2015, stanno crescendo nuovi idoli in rappresentanza delle minoranze escluse. “Oggi in un villaggio indigeno nel pieno della foresta Amazzonica o sperduto in una vallata delle Ande, il sabato e la domenica i giovani nativi giocano a pallone in modo più o meno professionale, e tutto il villaggio si ferma per guardare la partita – dice Juan Pablo Gutiérrez – Il pallone è oramai parte della struttura sociale culturale di questi villaggi, un netto cambio di paradigma rispetto a tutte le folkloristiche e stantie rappresentazioni dei nativi colombiani”.