Ho partecipato alla INTEL International Science and Engineering Fair, il più grande evento internazionale dedicato agli studenti nell’ambito delle scienze e dell’ingegneria.
1600 studenti di scuola secondaria di tutto il mondo, selezionati attraverso concorsi regionali e nazionali da milioni di concorrenti in 70 nazioni, partecipano a quelle che vengono considerate delle vere e proprie olimpiadi della scienza e della tecnica. Olimpiadi è un termine appropriato perché è solo la passione, scevra di ogni interesse monetario, che porta gli studenti fino a questo evento. Passione per la conoscenza, passione per riuscire a scoprire le risposte ad una delle molteplici domande che il grande libro della natura ci pone continuamente.
Come importante attività collaterale alla competizione studentesca si discute dell’importanza dell’educazione scientifica e tecnologica per il futuro della società e del modo migliore di promuoverla ed attuarla nella scuola. Non nelle università, perché nell’accademia si tratta di problemi di natura differente, che attengono a ragazze e ragazzi maggiorenni e che stanno preparandosi ad un futuro lavorativo. Nella scuola stiamo invece parlando dell’educazione di tutti i cittadini e del destino futuro dell’intera società.
E quando si parla di come realizzare nella scuola l’educazione alla scienza (in verità, STEM è il termine che si usa negli Stati Uniti, per includere – oltre alla Scienza – anche la Tecnologia, l’Ingegneria e la Matematica) tutti gli interventi, da quello dell’insegnante della scuola del New Mexico a quello di Marty Chalfie, premio Nobel per la Chimica 2008, concordano sull’importanza di non tarpare la normale curiosità di bambini e ragazzi costringendoli ad assorbire passivamente nozioni, ma di stimolarne un approccio esplorativo ed investigativo alla conoscenza.
E tutti concordano che il modo migliore di bloccare il processo di crescita scientifica di un paese è quello di instillare in chi si avvicina alla scienza per la prima volta l’idea che per riuscire bisogna essere, se non geniali, per lo meno brillanti, e certificare questa situazione, nero su bianco, scolpita nella pietra, con voti ed esami.
Marty Chalfie ha mostrato con orgoglio la sua pagella scolastica: non certo da primo della classe, con solo un passabile 7 in chimica. Al termine dell’università, per parecchio tempo ha fatto altri lavori, non ritenendo di poter essere uno scienziato, anche perché ulteriori insuccessi in laboratorio gli sembravano avere “certificato” per sempre che non ne aveva le capacità. Ma nel suo caso gli eventi lo hanno nuovamente avvicinato alla scienza, ha potuto provare e riprovare ancora, questa volta con successo, e di questo passo è alla fine arrivato ad uno dei più ambiti riconoscimenti che uno scienziato possa pensare di ricevere.
Quanti altri ragazzi sono stati invece allontanati da quest’approccio miope e mutilato, da questo delirio tecnicistico e metodologico della misurazione a tutti i costi di ciò che è così evanescente che ha scarso senso misurare? Quante opportunità sprechiamo valutando nella scuola gli studenti nelle materie scientifiche con voti assegnati sulla base delle loro capacità di ricordare quanto insegnato senza tenere conto della curiosità e dell’impegno profusi nel cercare una risposta, indipendentemente dal fatto che siano riusciti a trovarla o meno?
In questi giorni in cui si riaccende la discussione sull’utilità e sul valore dei test nella scuola italiana (ecco una collezione di articoli che ne parlano) mi sembra importante riflettere su questi aspetti.
Attenzione! Non sto dicendo che non bisogna valutare lo studente comunicandogli con sincerità come sta andando, ma che lapidarietà sintetica di un voto spesso contrasta ed annulla lo sforzo che, da insegnanti, stiamo facendo per far crescere un ragazzo. Tutti i bravi educatori sanno che è meglio fornire allo studente un parere sul suo operato indicando quali sono gli aspetti da migliorare invece che sottolineando quelli di insufficienza. È solo questione di modalità espressiva: descrivere il bicchiere pieno a metà che si è quasi arrivati a riempire, invece che il bicchiere ormai già mezzo vuoto.
Ancora, attenzione! Non sto dicendo che non bisogna cercare di capire lo stato attuale e la direzione che sta prendendo il sistema scolastico italiano: guidare un sistema complesso senza informazioni oggettive relative a questi aspetti è come navigare ad occhi bendati. Però mi chiedo se davvero il modo migliore sia quello di far compilare agli studenti fogli di risposta inserendo crocette.
Infine: un processo di competizione, quale la INTEL International Science and Engineering Fair, al termine del quale si vuole proclamare un vincitore, un secondo, ed un piazzamento d’onore, è cosa ben diversa da un processo di educazione di massa.
Gestire quest’ultimo con la tecnica del primo non ha senso. La Natura ha potuto costruire la meravigliosa situazione in cui viviamo usando lo spietato meccanismo della selezione naturale, che toglie dal palcoscenico i meno adatti, perché ha miliardi di anni e di specie a disposizione.
Al di là delle considerazioni morali di questa soppressione dei più deboli (che comunque una società evoluta ha il dovere di analizzare) siamo proprio sicuri che avere lo stesso approccio sia quello migliore per il futuro della nostra società? E siamo altrettanto sicuri che sia il modo migliore di avere futuri premi Nobel?
Enrico Nardelli
Professore universitario di Informatica
Scienza - 15 Maggio 2015
Come far crescere i Nobel in erba?
Ho partecipato alla INTEL International Science and Engineering Fair, il più grande evento internazionale dedicato agli studenti nell’ambito delle scienze e dell’ingegneria.
1600 studenti di scuola secondaria di tutto il mondo, selezionati attraverso concorsi regionali e nazionali da milioni di concorrenti in 70 nazioni, partecipano a quelle che vengono considerate delle vere e proprie olimpiadi della scienza e della tecnica. Olimpiadi è un termine appropriato perché è solo la passione, scevra di ogni interesse monetario, che porta gli studenti fino a questo evento. Passione per la conoscenza, passione per riuscire a scoprire le risposte ad una delle molteplici domande che il grande libro della natura ci pone continuamente.
Come importante attività collaterale alla competizione studentesca si discute dell’importanza dell’educazione scientifica e tecnologica per il futuro della società e del modo migliore di promuoverla ed attuarla nella scuola. Non nelle università, perché nell’accademia si tratta di problemi di natura differente, che attengono a ragazze e ragazzi maggiorenni e che stanno preparandosi ad un futuro lavorativo. Nella scuola stiamo invece parlando dell’educazione di tutti i cittadini e del destino futuro dell’intera società.
E quando si parla di come realizzare nella scuola l’educazione alla scienza (in verità, STEM è il termine che si usa negli Stati Uniti, per includere – oltre alla Scienza – anche la Tecnologia, l’Ingegneria e la Matematica) tutti gli interventi, da quello dell’insegnante della scuola del New Mexico a quello di Marty Chalfie, premio Nobel per la Chimica 2008, concordano sull’importanza di non tarpare la normale curiosità di bambini e ragazzi costringendoli ad assorbire passivamente nozioni, ma di stimolarne un approccio esplorativo ed investigativo alla conoscenza.
E tutti concordano che il modo migliore di bloccare il processo di crescita scientifica di un paese è quello di instillare in chi si avvicina alla scienza per la prima volta l’idea che per riuscire bisogna essere, se non geniali, per lo meno brillanti, e certificare questa situazione, nero su bianco, scolpita nella pietra, con voti ed esami.
Marty Chalfie ha mostrato con orgoglio la sua pagella scolastica: non certo da primo della classe, con solo un passabile 7 in chimica. Al termine dell’università, per parecchio tempo ha fatto altri lavori, non ritenendo di poter essere uno scienziato, anche perché ulteriori insuccessi in laboratorio gli sembravano avere “certificato” per sempre che non ne aveva le capacità. Ma nel suo caso gli eventi lo hanno nuovamente avvicinato alla scienza, ha potuto provare e riprovare ancora, questa volta con successo, e di questo passo è alla fine arrivato ad uno dei più ambiti riconoscimenti che uno scienziato possa pensare di ricevere.
Quanti altri ragazzi sono stati invece allontanati da quest’approccio miope e mutilato, da questo delirio tecnicistico e metodologico della misurazione a tutti i costi di ciò che è così evanescente che ha scarso senso misurare? Quante opportunità sprechiamo valutando nella scuola gli studenti nelle materie scientifiche con voti assegnati sulla base delle loro capacità di ricordare quanto insegnato senza tenere conto della curiosità e dell’impegno profusi nel cercare una risposta, indipendentemente dal fatto che siano riusciti a trovarla o meno?
In questi giorni in cui si riaccende la discussione sull’utilità e sul valore dei test nella scuola italiana (ecco una collezione di articoli che ne parlano) mi sembra importante riflettere su questi aspetti.
Attenzione! Non sto dicendo che non bisogna valutare lo studente comunicandogli con sincerità come sta andando, ma che lapidarietà sintetica di un voto spesso contrasta ed annulla lo sforzo che, da insegnanti, stiamo facendo per far crescere un ragazzo. Tutti i bravi educatori sanno che è meglio fornire allo studente un parere sul suo operato indicando quali sono gli aspetti da migliorare invece che sottolineando quelli di insufficienza. È solo questione di modalità espressiva: descrivere il bicchiere pieno a metà che si è quasi arrivati a riempire, invece che il bicchiere ormai già mezzo vuoto.
Ancora, attenzione! Non sto dicendo che non bisogna cercare di capire lo stato attuale e la direzione che sta prendendo il sistema scolastico italiano: guidare un sistema complesso senza informazioni oggettive relative a questi aspetti è come navigare ad occhi bendati. Però mi chiedo se davvero il modo migliore sia quello di far compilare agli studenti fogli di risposta inserendo crocette.
Infine: un processo di competizione, quale la INTEL International Science and Engineering Fair, al termine del quale si vuole proclamare un vincitore, un secondo, ed un piazzamento d’onore, è cosa ben diversa da un processo di educazione di massa.
Gestire quest’ultimo con la tecnica del primo non ha senso. La Natura ha potuto costruire la meravigliosa situazione in cui viviamo usando lo spietato meccanismo della selezione naturale, che toglie dal palcoscenico i meno adatti, perché ha miliardi di anni e di specie a disposizione.
Al di là delle considerazioni morali di questa soppressione dei più deboli (che comunque una società evoluta ha il dovere di analizzare) siamo proprio sicuri che avere lo stesso approccio sia quello migliore per il futuro della nostra società? E siamo altrettanto sicuri che sia il modo migliore di avere futuri premi Nobel?
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".