Il regista ottantenne ha presentato fuori concorso il suo 'Irrational man", film che racconta la storia di Abe (Joaquin Phoenix), un esimio professore di filosofia inizialmente depresso e smarrito nel non senso della vita che invece ritrova nella seconda parte del film attraverso una sorta di “resurrezione”. L’inossidabile Woody si è definito “un uomo serio. Ma non nel senso dell’età, bensì per il fatto che sono nato così, volevo fare arte/cinema serissimi, filmoni pesanti... e invece ho dovuto virare sulla comicità per guadagnarmi da vivere"
“Signor Woody Allen, lei ha mai pensato di uccidere qualcuno?”. Sorridendo sotto la maschera, il Maestro non esita inganni: “ci sono momenti cruciali nella vita”. Quando si tratta di Woody Allen, 80 anni a dicembre e oltre mezzo secolo di arte cinematografica amata in tutto il mondo, l’ironia è d’obbligo. A Cannes è il divo di giornata, naturalmente accanto al suo cast sempre ben nutrito ma a questo giro senza il protagonista assoluto Joaquin Phoenix, l’Irrational Man che dà il titolo alla sua nuova fatica, che ha preferito rimanersene a casa. Con lui, in pura adorazione, presenziano le coprotagoniste femminili Emma Stone e Parker Posey, entrambe con un affair con il personaggio di Phoenix.
In cartellone oggi fuori concorso, il 45° film di Woody Allen segna una rinascita dall’assai modesto Magic in the Moonlight dello scorso anno. Indefinibile come “commedia” (si ride poco) ma decisamente più leggero di Match Point, si accosta a quest’ultimo tanto per l’accentuazione al “senso morale” delle scelte umane quanto ad un turning point di carattere macabro che spezza il film in due parti. O meglio, in due Weltanschauung dal punto di vista del protagonista, Abe, un esimio professore di filosofia inizialmente depresso e smarrito nel non senso della vita che invece ritrova nella seconda parte del film attraverso una sorta di “resurrezione”.
Senza svelare la trama, basta rammentare che Abe, uomo fascinoso ma imbolsito (mai visto Phoenix con una pancia così pronunciata..) fa innamorare ben due donne: una collega (Posey) del college di Newport dove insegna e la migliore delle sue studentesse (Stone): entrambe tentano per lui un rehab attraverso sensualità e compagnia. Film filosofico e concettuale per definizione contraria (irrational), offre lo spunto ad Allen per “insegnare” al mondo come lui affronta “the big issue of Life”, cioè il senso stesso dell’esistere. “Sapete, la Vita ha il suo programma, fa ciò che vuole con ciascuno di noi. Per un artista l’unico modo di gestire questa imprevedibilità è trovarvi qualcosa che spieghi il perché la Vita è degna di essere vissuta. Altrimenti, lo dico onestamente, non avrebbe alcun senso, finiamo tutti nello stesso posto e tutto svanisce, vi assicuro: qualunque cosa. La mia conclusione è dunque che l’unico modo per dare un senso alla Vita è distrarsi e distrarre la gente dalla big question. Ciò che aiuta la mia distrazione è distrarre gli altri facendo il cinema”.
Magistrale ma umile come sempre, Allen ha ammesso che “rifarebbe tutti i suoi film, come Chaplin voleva fare e in parte è riuscito a fare. Perché quando faccio un film so già tutti gli errori che troverei nel rivederlo, per questo non ne rivedo neppure uno. Decido quindi di migliorarmi facendone altri… finché potrò”. A 80 anni quasi compiuti, l’inossidabile Woody si definisce “un uomo serio. Ma non nel senso dell’età, bensì per il fatto che sono nato così, volevo fare arte/cinema serissimi, filmoni pesanti.. e invece ho dovuto virare sulla comicità per guadagnarmi da vivere. La vita va così..”. Seriamente o meno, è notizia che Allen stia tentando di girare una serie tv “ma è difficilissimo! Io non immaginavo fosse così complicato..”. Una scelta che sicuramente porterà a termine perché così ragiona il Maestro, “mai fermarsi davanti ai primi ostacoli. Pensiamo a grandi comunisti che si salvarono dai campi di concentramento come Primo Levi o Bettleheim: credevano in una grande missione e sapevano concentrarsi. Per riuscire nella vita bisogna crederci e concentrarsi”.
Oltre a Woody Allen in versione “docente di Filosofia Esistenzialista”, il programma odierno vede la presentazione di due importanti ma soprattutto radicali film del concorso. Si tratta di Saul Fia dell’esordiente ungherese Laszlo Nemes e di The Lobster del greco Yorgos Lanthimos. Entrambi dolenti ed estremi, elaborano l’istinto di sopravvivenza dell’uomo: da una parte nel tentativo disperato di salvare il cadavere del proprio figlio all’interno di un lager nazista da parte di un padre (Sal Fia, cioè il Figlio di Saul), dall’altra di ribaltare l’ordine naturale dell’essere umano in un’ipotetica società ove è obbligatorio accoppiarsi e vietato rimanere single: la punizione è la trasformazione in un animale. (The Lobster). Claustrofobico, durissimo, assordante il primo, che interpreta audio-visivamente il campo di concentramento alla stregua di un Inferno dantesco, surreale, robotico ed estremamente metaforico (come tutto il cinema greco) il secondo, in cui la riflessione sul (non)senso delle relazioni contemporanee raggiunge l’apice della tragedia. E il confine tra uomini e bestie si riduce a una linea imperscrutabile. The Lobster è il primo film in inglese di Lanthimos che ha portato sulla Croisette i divi Colin Farrell, Rachel Weisz, Léa Seydoux e Ben Whishaw. E’ verosimile che entrambi i film possano aspirare a dei riconoscimenti nel Palmares.