Bye bye Corte europea dei diritti umani, l’Inghilterra se ne va. E questa volta non è uno scherzo. Anzi, il neo-ministro Michael Gove ne ha fatta una priorità assoluta: ora che i conservatori sono soli nella stanza dei bottoni, sbarazzarsi dei giudici di Strasburgo sembra diventata la priorità politica del Cameron II. Il “British Bill of Rights” sarebbe pronto e l’annuncio ufficiale del primo passo di allontanamento di Londra dall’Europa, verrà dato il 27 maggio, quando la regina terrà al Parlamento il discorso di insediamento del monocolore Tory: la riforma, andrà a sostituire lo Human Rights Act, introdotto nel ’98 dal primo governo Blair, e a detta dei proponenti, restituirà “sovranità” al Regno sul tema dei diritti umani. Ossia una contraddizione in termini: la Corte europea dei diritti umani venne istituita dopo la seconda guerra mondiale proprio per evitare che almeno nel continente, il tema dei diritti umani potesse un giorno, tornare ad essere “relativo”.

Il Regno Unito, con lo Human Rights Act, ha dato diretta esecuzione alla Convenzione europea nel suo ordinamento; un passo avanti rispetto all’Italia, dove l’applicazione dei principi (vedi i casi del G8) richiede invece il “quarto” grado di giudizio a Strasburgo. E pensare che il Tory Sir David Maxwell-Fyfe, fu il presidente della commissione che istituì, nel 1951 la Convenzione; ma quella era un’altra razza di politici, qui parliamo invece di apprendisti stregoni ossessionati dal consenso.

Ora, ciò che tutti si chiedono in Inghilterra, è dove la coppia Cameron-Gove punti ad arrivare. Prendiamo, ad esempio, l’ipotesi che il “British Bill of Rights”, nella versione finale, sospendesse l’applicazione dei principi della Convenzione europea, e quindi l’influenza dei giudici di Strasburgo; anche ammesso che la camera alta, dove i tories non sono in maggioranza desse il via libera, l’Inghilterra verrebbe espulsa dal Consiglio d’Europa: il Consiglio e la Corte europea vigilano sulla Convenzione, e il pacchetto, purtroppo per Cameron, si prende completo. L’adesione al Consiglio d’Europa, quindi, essendo condizione necessaria per la permanenza nell’Ue provocherebbe a quel punto una reazione a catena dagli esiti difficili da prevedere.

Certo, il più immediato, sarebbe per il Regno Unito quello di trovarsi nella scomoda lista dei Paesi europei che non aderiscono alla Corte di Strasburgo. Anzi no, nella lista con l’unico Paese che non aderisce: la Bielorussia. A parte l’imbarazzante compagnia, la ricaduta sul piano politico sarebbe catastrofica. Senza contare che il Good Friday Agreement, il cessate il fuoco in Irlanda del Nord è legato a doppio filo con la Convenzione europea e così è anche la carta fondamentale scozzese, lo Scottish Act. Anzi, tanto per rendere l’opposizione più rumorosa, dal parlamento scozzese hanno già avvertito Cameron di stare lontato dallo Human rights act.

Tra l’altro mezzo partito Tory non è favorevole ad uno strappo così netto: in molti sanno bene l’effetto domino che produrrebbe. Rimangono giusto i falchi Gove e Theresa May, quest’ultima ministro dell’interno, a sostenere con virulenza l’addio l’abbattimento della legislazione “buonista” come amava chiamarla Michael Howard, leader conservatore prima di Cameron. Quanto a Gove, quando era giornalista del Times, sosteneva la reintroduzione dell’impiccagione; una posizione, magari, apprezzata da Lukashenko ma che avrebbe vita non facile nel resto d’Europa.

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