Dopo la strage del 9 aprile nel Tribunale di Milano, la domanda che ha tenuto banco per giorni era una: come avesse fatto Claudio Giardiello, il 57enne che ha ucciso il giudice Ferdinando Ciampi, l’avvocato Lorenzo Claris Appiani e l’ex socio Giorgio Erba, a entrare nel palazzo di giustizia con una pistola. La risposta, finora, era che fosse riuscito a passare il varco di sicurezza di via Manara, quello riservato agli avvocati e privo di metal detector. Ma ora una nuova ipotesi investigativa, rivelata dal Corriere della Sera, potrebbe ribaltare quella verità: la Procura di Brescia, dopo aver acquisito elementi di indagine che sembrano contraddire l’iniziale ricostruzione, ipotizza che Giardiello possa essere entrato da uno degli ingressi normali. E che abbia superato i controlli con estrema facilità, senza essere fermato nonostante la macchina che rivela la presenza di oggetti in metallo avesse suonato al suo passaggio.
Stando a quanto ricostruisce il quotidiano di via Solferino, le immagini di “scarsa qualità” riprese da alcune telecamere dell’ingresso retrostante rispetto al principale di Porta Vittoria (un varco misto, usato da giudici e avvocati ma anche normali cittadini) mostrano una persona davanti a Giardiello che passa il metal detector, fa scattare l’allarme e viene subito controllata dalle guardie con gli scanner manuali. Quando è la volta dell’autore della strage, gli uomini della sicurezza lo lasciano andare senza ulteriori verifiche, facendogli cenno di procedere, nonostante l’apparecchio segnali (i fotogrammi, senza sonoro, permettono di vedere la luce che si accende) che nella borsa messa sul nastro trasportatore c’era un oggetto metallico.
La nuova possibile ricostruzione fa tornare alla mente quanto detto da Giardiello ai carabinieri subito dopo l’arresto, avvenuto a Vimercate poche ore dopo l’assalto: “Quando ho superato il varco ho pensato: se mi fanno passare con la pistola, lo faccio…”.
Nel corso della mattinata ambienti giudiziari hanno definito “attendibile” l’ipotesi su cui sta lavorando la Procura di Brescia. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha invitato la magistratura ad “andare fino in fondo e fare presto” perché “siamo tutti desiderosi di verità”.