La spedizione dei (quasi) mille aspiranti consiglieri è lontana dall'essere l'avanzata dei moralizzatori promessa in partenza. Non tanto per il numero quanto per la portata di indagati e condannati. Il caso più eclatante? Adriana Poli Bortone (candidata governatore per Forza Italia) il 10 luglio sarà in Tribunale per il processo in cui è accusata di abuso d'ufficio e peculato
Condannati, indagati, riciclati. La spedizione dei (quasi) mille aspiranti consiglieri regionali in Puglia è ben lontana dall’essere l’avanzata dei moralizzatori promessa in partenza. Non tanto per il numero degli impresentabili (13: due condannati, tre rinviati a giudizio, cinque indagati e tre per i quali è intervenuta la prescrizione) quanto per il peso specifico dei singoli casi. Quello più eclatante riguarda proprio uno dei sette candidati alla presidenza della Regione: Adriana Poli Bortone (Fi). Due le date da segnare sull’agenda per l’ex ministro dell’Agricoltura di berlusconiana investitura: 31 maggio (elezioni regionali) e 10 luglio, ovvero l’ inizio del processo nel quale è accusata di abuso di ufficio e peculato perché “consapevole” degli illeciti alla base dell’acquisto dei palazzi di Via Brenta da parte del Comune di Lecce che, all’epoca dei fatti, guidava.
L’accusa ritiene anomala l’operazione contrattuale e finanziaria da 60 milioni di euro con la quale sarebbero stati acquistati in leasing i palazzi della giustizia civile, cifra che sarebbe stata gonfiata e motivata con una inesistente indagine di mercato. Il Comune, guidato da Paolo Perrone – ex enfant prodige della giunta Poli – si è costituito parte civile, chiedendo alla candidata e agli altri 10 indagati un risarcimento da 20 milioni di euro. Ma la Poli Bortone non è la sola, naturalmente.
Tra i consiglieri che la sostengono emergono nelle liste di Forza Italia due nomi noti ai magistrati: quelli del petroliere Fabrizio Camilli e del consigliere regionale uscente Giovanni Copertino. Il primo coinvolto anni fa nell’inchiesta sul furto di gasolio in aziende pubbliche: arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata ad evadere le tasse sulle accise, ha patteggiato la pena. Il secondo, già presidente dell’assise pugliese e assessore della giunta Fitto, è stato accusato di corruzione, truffa e falso nell’ambito del maxi processo La Fiorita. Trenta in tutto gli imputati del procedimento che nasce dall’inchiesta sulle gare di appalto affidate in ambito sanitario alla cooperativa barese che ha dato il nome all’indagine e dalla quale sono nati altri filoni.
Una vicenda giudiziaria in cui è inciampato anche l’allora governatore Raffaele Fitto. L’ex ministro berlusconiano è stato ritenuto colpevole in primo grado di corruzione, illecito finanziamento ai partiti, abuso d’ufficio ed è stato assolto dai reati di peculato e da un altro abuso d’ufficio. Al centro del processo sia l’appalto da 198 milioni di euro – vinto dalla società di Giampolo Angelucci – per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite, sia la presunta tangente da 500mila euro elargita da Angelucci al partito di Fitto, La Puglia Prima di Tutto. Pochi giorni fa, per Fitto è stata dichiarata la prescrizione dei reati, ma gli avvocati hanno già annunciato l’intenzione di rinunciarvi.
Non ha rinunciato, invece, Giovanni Copertino accusato di corruzione per aver chiesto e ottenuto la proroga del contratto per due persone dipendenti della cooperativa La Fiorita in cambio della proroga di un appalto. Ma quello di Copertino non è l’unico nome che si legge sia nell’elenco degli indagati nella maxi inchiesta che nelle liste elettorali degli aspiranti consiglieri. Paolo Pellegrino, candidato nelle liste di Michele Emiliano, era capo della Asl di Bari quando è scoppiato il caso La Fiorita: era uno dei trenta imputati, finito ai domiciliari con l’accusa di corruzione, turbativa d’asta e falso. Anche per lui è intervenuta la prescrizione. La singolarità è che il pm che indagava su entrambi era Lorenzo Nicastro attuale assessore della giunta Vendola, in buona sostanza la compagine politica che Pellegrino sta sostenendo.
Nelle altre liste la situazione non è molto differente. Michele Emiliano – che aveva lanciato l’operazione “liste pulite” – si è adattato al codice etico del Pd, con maglie più larghe di quanto non volesse. Il Partito Democratico, infatti, schiera Michele Mazzarano (rinviato a giudizio per finanziamento illecito ai partiti) e Donato Pentassuglia (assessore regionale alla Sanità uscente, per il quale la Procura di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito del processo Ilva perché accusato di favoreggiamento nei confronti di Girolamo Archinà, il potente scacchiere del siderurgico).
Fabiano Amati, invece, è stato condannato in Appello a sei mesi per tentato abuso d’ufficio: sospeso dal Consiglio regionale per effetto della legge Severino, è stato reintegrato dopo qualche mese per aver vinto il ricorso. Eppure, nonostante i buoni propositi di Emiliano, anche nelle civiche qualche candidatura da sottolineare c’è. Come quella di Alfredo Spalluto, indagato dalla Procura di Taranto per i lavori di ristrutturazione di alcuni edifici pubblici nella Città Vecchia. Francesco Schittulli, candidato di Raffaele Fitto, si è sempre detto garantista, perciò non stupisce che a suo sostegno corra Antonio Buccarello, sindaco di Gagliano del Capo, indagato con l’accusa di deturpamento delle bellezze naturali per aver aperto “senza controlli adeguati” un cantiere su un tratto particolarmente bello e fragile della costiera; o Silvano Macculi, già presidente dell’Ato ed assessore al Bilancio della Provincia di Lecce, indagato con l’accusa di abuso d’ufficio per aver affidato servizi a società senza passare dalla gara d’appalto.
Enrico Tatò, ingegnere, risulta coinvolto nelle indagini perché responsabile del cantiere allestito nella discarica di Conversano, sequestrata perché pericolosa per la salute pubblica e con i lavori eseguiti non a norma. Reato prescritto, invece, per Angelo Tondo, accusato di voto di scambio. Chiude il cerchio Fabrizio Cangelli, candidato con i Verdi a sostegno di Gregorio Mariggiò, rinviato a giudizio per il fallimento dell’Agenzia municipalizzata “Amica” (faceva parte del CdA). Ernesto Abaterusso, invece, è un candidato last minute, inserito nelle liste per sopperire al depennamento del figlio Gabriele, condannato a due anni in Appello per bancarotta ma dato per super favorito sin dalle prime istanze di questa campagna elettorale. Contro di lui una levata di scudi dai democratici locali. Più che per questioni morali per questioni elettorali.
Aggiornato da Redazione Web alle ore 16.15 del 18 maggio 2015