Doveva ancora nascere quando, davanti alla figlia e in pieno giorno, il sindaco Domenico Demaio il 27 marzo 1985 fu ucciso dalla ‘ndrangheta di Platì. Aveva appena 5 anni quando il brigadiere Antonino Marino, che ha guidato la caserma di Platì, fu ucciso a Bovalino in un agguato in cui rimasero feriti anche la moglie e il figlio.
Oggi Anna Rita Leonardi, 30 anni ancora da compiere, si vuole candidare nella cittadina della Locride che, dal 2003 ad oggi, è stata sciolta tre volte per infiltrazioni mafiose. Dopo un lungo periodo di commissariamento, a fine maggio si sarebbe dovuto votare per le comunali ma non è stata presentata nessuna lista. Neanche quella del Partito democratico di cui è dirigente la giovane candidata.
È così che quello di Platì è diventato un caso politico in Calabria. Dove il Pd, dopo avere fatto incetta di voti, si dimentica di quel comune commissariato, fa scadere i termini per la presentazione delle liste e, fuori tempo massimo, sforna dal cilindro prima la candidatura a sindaco del segretario regionale Ernesto Magorno, poi quella della deputata Enza Bruno Bossio e, infine, quella della giovane Anna Leonardi, già candidata ma non eletta al consiglio comunale di Reggio Calabria e assistente parlamentare del deputato Luigi Lacquaniti.
E mentre i cittadini di Platì stanchi del commissariamento si domandano il perché non si sono fatti avanti prima, la Leonardi ci tiene a puntualizzare: “Il partito secondo me ha sbagliato, ma negli ultimi 15 anni non solo in quest’ultimo periodo”.
“Il senso di una candidatura – aggiunge – non solo è forte ma è un modo di dire che, come donna e come esponente del partito, io ci sono. Non sono la Madonna venuta a Platì per risolvere i problemi, il mio compito come politico è dare a tutti i cittadini le stesse possibilità di chi vive altrove. Mi sono candidata seguendo la provocazione che aveva lanciato il segretario Magorno, ma ho detto che a mio avviso candidarsi non era sufficiente. Occorre chiedere al governo elezioni straordinarie per Platì. Cosa che ho intenzione di fare”.
In sostanza, quello che chiede è una tornata elettorale ad hoc per Platì, conosciuta come la culla della ‘ndrangheta, dove le cosche Barbaro e Trimboli erano le uniche “istituzioni” con cui anche lo Stato ha trattato durante la stagione dei sequestri negli anni ottanta.
“Soltando avendo una data precisa, – ribadisce Anna Leonardi mettendo così in fuorigioco il suo stesso segretario regionale e la parlamentare Bruno Bossio – chi ha dato la propria disponibilità può dimostrare se la sua candidatura è vera o scenografica. Si può intervenire concretamente a livello nazionale per poter portare fuori Platì da questa situazione. Siccome i cittadini di Platì non sono alieni, adesso c’è la possibilità di aiutarli. Il governo dovrebbe dare una nuova data”.
Ma se Anna Leonardi mantiene i toni bassi nei confronti del suo partito, Maria Grazia Messineo, altra dirigente del Pd, non le manda a dire. Vive nella Locride, a Siderno, dove il partito democratico è riuscito a non esprimere il suo candidato e appoggia l’ex senatore di Forza Italia, oggi passato al centrosinistra, Pietro Fuda. Messineo da mesi ha avvertito i vertici del suo partito sul caso Platì non ricevendo alcuna risposta. È critica nei confronti dei candidati dell’ultima ora spiegando che “Platì non ha bisogno di colonizzatori e come dice il vescovo Oliva deve tornare ai platiesi. Ancora una volta, la Calabria è vittima di un’incresciosa e indegna strumentalizzazione. Sono quasi due anni che invoco l’impegno della federazione provinciale del Pd su Platì, affinché fossimo noi dirigenti a sostenere la comunità in quel processo di organizzazione politica che, nella legalità, avrebbe dovuto catalizzare, attraverso un circolo del partito, il sopravvento della democrazia sulla criminalità, che qui c’è ma è una minoranza seppure, purtroppo, organizzata”.
Messineo si scaglia con il segretario provinciale Sebi Romeo che è anche consigliere regionale: “Lui prova a giustificarsi dichiarando di aver incaricato, tempo addietro, un suo ‘emissario’ a valutare se a Platì ci fossero le condizioni per costituire il circolo, ma di non aver riscontrato poi le condizioni politiche e di rispetto dello statuto e del codice etico del Pd”.
“Ma a quale codice etico fa riferimento Sebi Romeo? – conclude la dirigente del partito – Quello che l’intero partito (eccezion fatta per la sottoscritta e per Maria Carmela Lanzetta) ha preferito non considerare in merito all’attuale giunta regionale, composta da tre assessori indagati? O vogliamo trattare delle leggine, alquanto discutibili ed eticamente inopportune, proposte dallo stesso Sebi Romeo in Consiglio regionale: dall’aumento della platea dei portaborse, agli emendamenti ad personam?”. Ma questa è la solita politichetta “made in Calabria”.