Fortunatamente da emigrato verso altri lidi non ho assunto quel tipico atteggiamento di negativismo e critica a prescindere verso l’Italia, purtroppo comune in molti altri connazionali che vivono all’estero. Anzi, da bordocampo continuo a fare il tifo per il nostro Paese, e non solo quando la Nazionale o la Juventus vanno a giocare a Berlino.
Nella mia vita personale e professionale italiana, ho incontrato tantissime persone la cui “Grande Bellezza” interiore merita un riconoscimento: eroi silenziosi e nascosti che giornalmente mettono in campo voglia, talento e dedizione al servizio della nazione, perché orgogliosi di viverci e perché consci della fortuna loro capitata di godere delle tante meraviglie che l’Italia propone (e non parlo solo delle stracitate arte, cucina, moda etc.).
Sono stato quindi felicissimo nel leggere la notizia della crescita dello 0.3% del Pil relativa al primo trimestre 2015: è un dato assai significativo, pur nella sua dimensione ancora ridotta, trattandosi della prima variazione postiva dal secondo trimestre 2012. E mi auguro davvero che questo sia il primo passo verso una crescita, magari lenta ma costante, che ci rimetta in carreggiata e che soprattutto dia ai nostri giovani la voglia di poter tornare a sperare e lottare, invece di fare di tutto per poter salire sul primo aereo e trasferirsi altrove.
Chi ha un po’ di dimestichezza con l’economia sociale, sa benissimo quanto scetticisimo cirondi il concetto stesso di Pil. Negli anni sono aumentati a dismisura coloro che ritengono che il Pil non rappresenti per nulla un indicatore significativo della crescita del benessere di una nazione, e tantomeno fornisca un’immagine realistica di quanto l’aumento del prodotto interno si converta in benefici concreti e tangibili per i cittadini. Questo ha portato vari studiosi a proporre, ed in certi casi adottare come casi di studio, indicatori di progresso economici alternativi, fino ad arrivare all’esempio limite del Buthan, un piccolo stato asiatico che sin dagli anni 70 ha deciso di adottare il Fil (Felicità Interna Lorda) per misurare il benessere reale dei propri cittadini. Inserendolo persino nella Costituzione.
Per questo, senza rovinare i brindisi entusiastici di Renzi e Padoan, mi piacerebbe che entrambi si ritagliassero e mettessero sul comodino il discorso tenuto dal senatore Robert Kennedy nel lontano 1968, che qui sotto vi riporto, come promemoria di quanto lavoro vi sia ancora da fare per rendere il nostro Paese un territorio vero di equità, giustizia e uguaglianza, dove il progresso economico si trasforma incondizionatamente in benessere umano e sociale per tutti e non per pochi.
“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Invece il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.