Una ventina di addetti alla ristorazione se ne sono andati perché pagati meno della cifra pattuita. Ma a qualcuno è andata peggio. Giovanni Tomasino, 26 anni, racconta la sua testimonianza. "Ero lì per fare formazione ma ho lavorato 48 ore in nero a pulire il bar. Al momento del contratto mi hanno lasciato a casa. Non ho visto un euro"
“Ho lavorato due giorni al padiglione Expo del Belgio, senza essere pagato”. Comincia così la testimonianza di Giovanni Tomasino, 26enne fresco di laurea in Scienze politiche che ha fatto sulla propria pelle l’esperienza di lavorare nel padiglione che – come ha raccontato il fattoquotidiano.it – ha fatto registrare il primo sciopero e la prima defezione di lavoratori dal sito dell’Esposizione universale di Milano. Il motivo? Una ventina di addetti alla ristorazione e sala hanno scoperto in busta paga cifre diverse da quelle prospettate e che le due settimane di lavoro antecedenti all’inaugurazione non erano state retribuite. Hanno incrociato le braccia giovedì e venerdì hanno deciso di fare le valigie per tornare a Bruxelles.
Ma a Giovanni è andata anche peggio. “Caro Direttore”, scrive in una lettera aperta al fattoquotidiano.it (leggi), “ho lavorato in quello stesso padiglione per due giorni senza essere pagato”. Da lì un racconto delle brutte sorprese in cui può incappare chi cerca fortuna all’ombra dei padiglioni. “Sono stato lì dall’8 al 9 maggio. Mi sono presentato alle 10.00 all’ingresso ovest di Cascina Triulza, dove trovo un collaboratore del padiglione con altri ragazzi per fare una giornata di formazione come barista presso il padiglione belga”.
Queste le premesse, ecco come proseguono. “Entriamo in fiera con dei pass non nostri, perché “tanto non li controllano”. Arrivati al padiglione scopriamo che il bar era ancora chiuso e passiamo la prima giornata a pulirlo e sistemare tutte le cose mancanti, facendo lavoro da magazzinieri. Ci viene spiegato come usare il forno e verso le 21.00, prima di andarcene, parliamo con un esperto di spillatura che ci spiega che avremmo dovuto spillare solo in bicchieri di plastica e che quindi non era necessario alcun corso accelerato di spillatura”.
E siamo al secondo giorno. “Partecipiamo all’evento di inaugurazione del padiglione servendo qualche birra e qualche croissant gratis. Al pomeriggio, visto che il bar non avrebbe aperto, vengo mandato a lavare i piatti in cucina e verso le 16.00 veniamo convocati per fare finalmente il punto della situazione. Speranzoso di poter finalmente firmare il mio contratto, mi viene invece detto che avevo finito di lavorare con loro perché “not fast”, troppo lento. I ragazzi che erano con me a sentire queste parole si sono messi a ridere pensando fosse solo uno scherzo: tra noi l’ingiustizia è stata da subito evidente”.
Giovanni vive a Buccinasco, a 20 km dall’aera Expo. Tornerai lì a cercare lavoro? “Francamente no. Certo ci speravo, perché per un neolaureato un’esperienza formativa anche retribuita poco è un occasione. Ma la formazione lì non c’è masi stata, solo un modo di avere manodopera gratis. Dopo 48 ore non sapevo neppure cosa sasrebbe stato di me, come accaduto ad altri. Quando sono tornato a casa mi sono reso conto di aver semplicemente lavorato gratis. E che questo non era giusto”.
Perché questa lettera? “Perché di sicuro non sono stato “not fast” in quei due giorni di lavoro in cui non ho visto un soldo né un contratto. Ero lì in nero, sotto la bandiera di uno Stato europeo, sotto gli occhi di milioni di visitatori. Mi sono sentito trattato in modo disonesto, sfruttato. Sarebbe stato più facile far finta di niente, perché “tanto ci sono cose più gravi”, invece scrivo perché penso possa essere utile a me stesso. Cercare lavoro è una sfida in cui è facile farsi cadere le cose addosso e restare giornate a casa a far nulla: scrivo per non arrendermi”.