Nessun cumulo di pensioni per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che ha anche deciso di limitare il proprio stipendio al tetto di 240mila fissato l’anno scorso per gli stipendi dei funzionari dello Stato. In una nota di risposta a il Giornale il Quirinale ha chiarito che il capo dello Stato ha disposto per se stesso e per tutte le persone che svolgono funzioni all’interno della presidenza “l’introduzione del divieto di cumulo delle retribuzioni con trattamenti pensionistici erogati da pubbliche amministrazioni”. In sostanza dallo stipendio di Mattarella viene detratta la pensione che riceve come professore universitario. Il presidente ha inoltre “disposto l’applicazione, all’interno della Presidenza della Repubblica, del tetto alle retribuzioni previsto dalla legge per i pubblici dipendenti, anch’esso non direttamente vincolante per gli organi costituzionali“. Il risultato è che il capo dello Stato guadagna 240mila euro, l’ammontare massimo introdotto per tutti i dirigenti della pubblica amministrazione dal decreto Irpef dell’aprile 2014.
La sforbiciata è frutto di un decreto emanato dal nuovo presidente lo scorso 23 febbraio, con cui Mattarella “ha disposto la riduzione dell’assegno a lui spettante per legge, in corrispondenza dell’ammontare del suo trattamento pensionistico”. Il divieto di cumulo, previsto dalla legge finanziaria del 2013, “non era, per sua espressa disposizione, direttamente vincolante nei confronti degli organi costituzionali”. Ma il Colle ha deciso di recepirlo volontariamente. Di conseguenza, ora “diversi consiglieri del capo dello Stato svolgono le loro funzioni senza alcun compenso, mentre per altri il compenso risulta fortemente ridotto“. Il segretario generale Ugo Zampetti, già in pensione, aveva già rinunciato autonomamente a ogni compenso al momento dell’assunzione dell’incarico. Dal combinato disposto di divieto di cumulo e tetto deriva, spiega la nota, “un consistente risparmio di risorse pubbliche”. Secondo le stime di gennaio, il Colle costerà quest’anno alle casse pubbliche 224 milioni di euro su 236,8 milioni di uscite complessive. Il dato è in calo di 3,1 milioni rispetto al bilancio assestato del 2014 e su di esso la spesa per il personale pesa il 90,67%.
Il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione per chi ha incarichi pubblici, che i tecnici definivano “un segnale forte all’opinione pubblica di eliminazione di privilegi percepiti come insostenibili”, rappresenta l’applicazione pratica di uno dei punti che erano previsti dal piano di spending review firmato da Carlo Cottarelli. Nello specifico il provvedimento riguardava i titolari di pensione erogata dagli enti previdenziali (o in generale da organi la cui attività è sostenuta da finanziamenti a carico del bilancio statale) che si trovano a svolgere incarichi di governo o in sedi istituzionali come Quirinale, Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Tar. Stesso discorso per sindaci, assessori o consiglieri regionali e vertici delle società pubbliche. Anche se per questi ultimi non mancano gli escamotage per sottrarsi al tetto: non vi sono soggetti i numeri uno delle aziende quotate né quelli dei gruppi che “emettono titoli negoziati su mercati regolamentati”, cioè obbligazioni.