Televisione

“Brava Giovanna brava”, lo spot trash come arma di distrazione di massa

C’è un interrogativo feroce che molesta il sonno degli italiani più ancora del perché la moglie di Renzi non si dia una botta di piastra. E non è un interrogativo da poco, visto che ci attanaglia da almeno sette anni, concedendoci tregue illusorie, per poi tornare ad aggredire la nostra serenità quando non ce l’aspettavamo più. Sto parlando dello spot Saratoga, quello “Brava Giovanna brava”. Quello che non lo vedi per un po’, pensi che finalmente il direttore creativo sia in un rehab in Arizona e che “Brava Giovanna brava” verrà finalmente archiviato tra i tormentoni horror tipo “Vedo al gente morta”, “Etrom etrom etrom” e “Enrico stai sereno” e invece riappare all’improvviso, con scadenze e intervalli la cui cronologia è imperscrutabile.

Ma ripercorriamo la genesi di questo mostro dell’advertising al confronto del quale Manuela Arcuri e il Labirinto femminile erano Lars von Trier. Il primo spot Saratoga era quello della tizia che per ragioni oscure sigillava il box doccia, ci si infilava dentro con un branco di lucci e decideva di morire così, affogandoci dentro come il mago incatenato. Tutti noi per anni ci siamo chiesti perché nessuno avesse sigillato la porta dell’ufficio del creativo che ha ideato lo spot così che morisse di stenti, ma poi è successo di peggio. Il creativo deve essere passato dall’erba ai funghi messicani e ha pensato che lo spot non fosse sufficientemente becero, per cui ha partorito la prima puntata della saga “Brava Giovanna brava”.

Correva l’anno 2008, l’Italia era provata dall’eliminazione agli Europei ai rigori con la Spagna e il Pil era in calo dell’1%. Gli italiani vedono lo spot e smettono di pensare al calcio e alla crisi. Giovanna è una procace addetta alla verniciatura di una cancellata e opera con la tipica divisa da operaio romeno: tenuta da cameriera sexy di quelle che vendono dai cinesi a Carnevale a 5 euro e 90 e tacco 12 con cui sale su una scala come da normativa antinfortunistica. Ad aiutarla la moglie del proprietario della villa, anche lei avvenente e con il tipico accessorio da verniciatura in cantiere: la collana di perle.

Il marito le osserva con aria infoiata, chiede con una certa ambiguità cosa stiano facendo, la moglie risponde che sta verniciano e Giovanna l’aiuta e allora lui esclama l’epica frase “Brava Giovanna brava!” con la mano sotto al mento come Crepet nella quarta di copertina dei suoi best-seller. Una lievissima allusione alle fantasie erotiche maschili sui rapporti lesbo. Ma proprio accennatissima. Nel 2010 arriva il sequel. Il pubblicitario nel frattempo è passato dal fungo messicano al pippotto di crack e decide di fare il sequel. Ora Giovanna, sempre gnocca, dipinge la cancellata della villa con una specie di tronista che pare il fidanzato della Pezzopane e un altro tizio in camicia da boscaiolo. La moglie li guarda sorseggiando tè, il marito le domanda se Giovanna sia tornata non si sa bene da dove, se da un set con Siffredi o da un corso di aggiornamento sull’acquaragia, e mentre la coppia annoiata osserva il gruppetto con lo sguardo libidinoso con cui Casini dice “Brava Maria Elena Brava” alla Boschi alla camera, la voce narrante ci ricorda che la vernice non cola.

Insomma, una tensione sessuale insostenibile, nonché un lieve, sfumato riferimento all’amore di gruppo. In tutto ciò, lo spettatore non riesce a smettere di guardare, di interrogarsi, di chiedersi il perché di uno spot che si rifiuterebbe di passare anche una tv privata kosovara. Eppure Brava Giovanna brava è ipnotico, ammaliante, tant’è che io sospetto sia molto di più di uno spot trash. Forse è una gigantesca arma di distrazione di massa. Lo guardi e non pensi più a pensioni, disoccupazione, immigrazione. Pensi che in fondo ci sia qualcosa di più brutto della crisi e pure di Brunetta. Oppure chissà. Visto che in questo periodo l’unica presenza tv più massiccia di questo spot è Matteo Salvini, forse la cancellata dipinta di colore verde è uno spot occulto della Lega. Un rafforzativo. Altri sostengono che quel “Brava Giovanna brava” sia un messaggio subliminale di Briatore, che ricorda così perpetuamente alla Melandri il trenino alla sua festa in Kenya. Insomma, tante ipotesi, ma una sola certezza: prima o poi Silvio rottamerà la Pascale e si piglierà Giovanna. Quella si mette i vestitini da sexy cameriera alla Minetti, se occorre si slinguazza la Rossi e già che c’è dà pure una riverniciata al cancello di Villa Certosa. Silvio, pensaci.

di Selvaggia Lucarelli

da Il Fatto Quotidiano di domenica 17 maggio 2015