Ogni giorno che passa senza un accordo con i creditori del Brussels Group, in Grecia chiudono 59 aziende per circa seicento posti di lavoro persi. Sono impietosi i numeri diffusi dalla Confederazione delle pmi elleniche e dei commercianti (EERA), secondo cui anche l’arrivo di nuova liquidità, da solo, non potrà rilanciare un mercato azzoppato da tre anni di misure draconiane. Una situazione che, al netto di futuri accordi, se mai ce ne fosse stato bisogno certifica un fallimento già verificatosi ad Atene. In soldoni secondo la Confederazione solo per riavviare il mercato ellenico servirebbero almeno 25 miliardi di euro dopo le perdite degli ultimi cinque anni: a fine 2014 il fatturato del commercio al dettaglio segnava un meno 26,2% rispetto a cinque anni prima, quello delle vendite all’ingrosso meno 37,1%, mentre le automobili sono crollate a meno 61,9%.
Nei primi quattro mesi dell’anno, poi, il bilancio dello Stato dimostra, a sorpresa, un avanzo primario di 2,16 miliardi di euro mentre le previsioni di spesa erano di circa 2 miliardi, a conferma che il governo si è mosso per tentare una via di risparmio ma che ha portato a “soffocare” l’economia nazionale. La posizione dell’EERA è contro l’assioma “no deal”. Chiedono che i denari dei creditori non siano usati per pagare il debito e i suoi interessi, ma vengano impiegati per stimolare la ripresa, nella consapevolezza che più si ritarda quel passaggio peggio sarà per il futuro della nazione.
Altra nota dolente si trova alla voce liquidità di mercato, con il 95% delle richieste di prestito rifiutate tutti i giorni dalle banche commerciali elleniche. Solo una richiesta su dieci è accolta. I depositi nelle banche greche sono di circa 138 miliardi ma la liquidità disponibile non supera i 2,5 miliardi mentre il fabbisogno giornaliero è coperto con il contagocce dal meccanismo ELA.