“Il trafficante aveva tre donne eritree. Le ha violentate, loro piangevano. È successo almeno due volte”.
“Ci hanno portato fuori da Sabha, nel deserto. Hanno legato mio marito a un palo per le mani e le caviglie e mi hanno stuprata davanti ai suoi occhi. Erano in tutto 11”.
“Arrivavano, ci rubavano i soldi e ci frustavano. Non potevo far presente alla polizia il mio credo cristiano perché quelli come noi non gli piacciono. Nell’ottobre 2014 sono stato sequestrato da quattro uomini armati che si erano accorti che avevo con me una bibbia”.
“Ci picchiavano coi tubi di gomma dietro le cosce, non risparmiavano neanche le donne incinte. Di notte entravano nelle nostre stanze e cercavano di stare con noi. Alcune di noi sono state stuprate e una è rimasta incinta. Ecco perché ho deciso di partire per l’Europa: ho sofferto troppo in prigione”.
Queste testimonianze sono contenute in un rapporto recentemente pubblicato da Amnesty International sulla Libia. Sono le parole di migranti e rifugiati che nel paese nordafricano vanno incontro a stupri, torture e sequestri a scopo di riscatto da parte dei trafficanti, allo sfruttamento sistematico ad opera dei datori di lavoro, alla persecuzione religiosa e ad altri abusi da parte di gruppi armati e bande criminali.
L’assenza di sicurezza, l’inesistenza del minimo segno di uno stato di diritto, le condizioni inumane dei centri di detenzione, la guerra tra gruppi armati per il potere rendono evidente quanto sia pericoloso oggi vivere in Libia: per tutti, ma soprattutto per i migranti e i rifugiati, i quali senza percorsi legali per fuggire e cercare salvezza e con la progressiva chiusura dei confini terrestri con Tunisia ed Egitto, sono costretti a mettersi nelle mani dei trafficanti, che li sottopongono a estorsioni, attacchi e altri abusi.
Ad attraversare il Mediterraneo sono persino comunità di migranti che vivevano in Libia da anni e, naturalmente, numerosi richiedenti asilo politico in fuga dalla Siria e dal Corno d’Africa.
I migranti e i rifugiati di fede cristiana sono tra quelli più a rischio di subire violenze da parte di quei gruppi armati che intendono applicare la loro interpretazione della legge islamica. Cristiani provenienti da Nigeria, Eritrea, Etiopia ed Egitto sono stati rapiti, torturati, uccisi e perseguitati a causa della loro religione. Ultimamente almeno 49 cristiani, per lo più provenienti dall’Egitto e dall’Etiopia, sono stati decapitati o fucilati in tre esecuzioni sommarie di massa rivendicate dal gruppo Stato islamico.
L’incubo non inizia in Libia, ma molto prima.
Lungo il viaggio, i migranti e i rifugiati subsahariani, compresi i minori non accompagnati, vengono rapiti a scopo di estorsione. Durante la prigionia, vengono torturati per costringere loro o le loro famiglie a pagare un riscatto. Coloro che non sono in grado di pagare vengono sfruttati e spesso ridotti in schiavitù: obbligati a lavorare senza compenso, aggrediti e derubati.
Le donne, soprattutto quelle che viaggiano sole o senza parenti maschi, rischiano più di ogni altra persona di essere stuprate dai trafficanti o dalle bande criminali. Le donne rapite durante il viaggio e non in grado di pagare il riscatto vengono obbligate a fare sesso in cambio del rilascio o del permesso di proseguire.
Una volta entrati in Libia, non è raro che i trafficanti cedano i migranti e i rifugiati a bande criminali che operano nel deserto o nei principali centri di transito come Sabha, nella Libia sudoccidentale, o Ajdabya, nella Libia orientale.
Prima d’imbarcarsi per il Mediterraneo, i migranti e i rifugiati vengono sottoposti a maltrattamenti da parte dei trafficanti durante i mesi trascorsi nei cantieri degli edifici in costruzione o in abitazioni private, in attesa dell’arrivo di ulteriori “passeggeri”. I trafficanti gli negano acqua e cibo, li picchiano coi bastoni e rubano i loro beni personali.
I migranti e i rifugiati in Libia vanno anche incontro a periodi di detenzione a tempo indeterminato nei centri per migranti, le cui condizioni sono terribili e in cui la tortura è la regola. La maggior parte di loro viene arrestata per ingresso irregolare nel paese o reati simili. In questi centri si trovano anche coloro che vengono catturati a bordo delle imbarcazioni intercettate dalla guardia costiera locale.
Le donne detenute nei centri per migranti hanno denunciato molestie e violenza sessuale. Una testimone ha raccontato ad Amnesty International che i responsabili di un centro hanno picchiato a morte una donna incinta.
La comunità internazionale è stata a guardare la Libia discendere nel caos dopo la fine dell’intervento militare della Nato del 2011, consentendo alle milizie e ai gruppi armati di prendere il sopravvento. Gli stessi leader che promossero l’azione militare per porre fine al regime di Gheddafi (e che non ne escludono un’altra) paiono ignorare una delle conseguenze del loro operato: il crescente numero di migranti e rifugiati in fuga dal paese, per di più obbligati a farlo in quello che è l’unico modo lasciato a loro disposizione: la barca dei trafficanti.
L’Agenda della Commissione europea sull’immigrazione, approvata mercoledì scorso, al massimo allevierà di poco questa situazione.