La riforma Giannini-Renzi non piace nemmeno alle scuole paritarie. A bocciare il disegno di legge in discussione in questi giorni alla Camera non sono solo i sindacati confederali, i Cobas e gli insegnanti che sono scesi in piazza, ma anche le scuole non statali, per nulla soddisfatte della detrazione fiscale prevista per un importo annuo di quattrocento euro ad alunno e seriamente preoccupate del nuovo sistema di reclutamento degli insegnanti.

La stroncatura è arrivata dalla 67esima assemblea nazionale dell’Aninsei, l’Associazione nazionale degli istituti non statali di educazione e di istruzione, vicina a Confindustria. “Il testo di questa legge così come è stato licenziato – spiega il presidente Luigi Sepiacci – dalla settima Commissione è mortificante per noi. Se dovesse passare condannerebbe le scuole paritarie a scomparire per l’impossibilità di reperire docenti qualificati”.

A suscitare perplessità nei dirigenti dell’Aninsei è l’articolo 21, comma 2: i docenti una volta laureati e fatto il concorso vengono assunti dallo Stato per tre anni; nel primo fanno un corso di formazione per ottenere un diploma di specializzazione e nei due anni successivi continuano a lavorare nelle scuole statali in una sorta di apprendistato. Alla fine di questo percorso, il contratto a tempo indeterminato arriva solo in caso di esito positivo.

“Nel paragrafo 8 si specifica che il conseguimento del diploma è indispensabile per essere assunti nella scuola paritaria. Ciò significa – racconta Sepiacci – che nella scuola paritaria arriveranno solo gli scarti, quelli considerati non idonei. I docenti che faranno un percorso nella statale per tre anni perché mai dovrebbero venire nei nostri istituti? Se entrano in ruolo, nella statale, difficilmente sceglieranno le nostre scuole”.

Secondo il presidente dell’Aninsei siamo di fronte ad un’assurdità: “Se non superano i tre anni e vengono considerati negativamente poi sarebbero adatti ad insegnare nelle nostre scuole? Credo che chi ha fatto questa modifica non si sia reso conto dell’illogicità a meno che non si voglia dire che la buona scuola è solo quella statale”.

Sepiacci è critico anche nei confronti dei 400 euro di detrazione fiscale previsti: “E’ un segnale ma dobbiamo chiarirci che alla fin fine parliamo di una cifra che servirà a poco. Non abbiamo certo risolto il problema; io mi unisco all’ex ministro dell’Istruzione Enrico Berlinguer quando diceva che ancora non è stata data attuazione alla legge sulla parità per quanto riguarda l’aspetto economico”.

Dello stesso parere suor Anna Monia Alfieri, presidente della Fidae Lombardia –  federazione che raggruppa le scuole cattoliche – che considera la riforma “timida”: “Le modifiche fatte in queste ore alla Camera hanno peggiorato il testo. L’emendamento apportato all’articolo 21 è ridicolo: quale docente della statale abbandonerebbe quella scuola dove guadagna di più della paritaria? Qualcuno ci deve spiegare dove andremo noi a trovare gli insegnanti e se saremo costretti a prendere coloro che sono ritenuti inadeguati. Stanno rovinando una riforma, non hanno avuto il coraggio di dire che un docente, fatto il concorso, dovrebbe avere la possibilità di insegnare nella statale così come nella paritaria con il medesimo stipendio e gli stessi diritti. Altrimenti chiudiamole e diciamo che l’unica scuola è quella di Stato”.  Suor Anna Monia Alfieri si dice però certa che ci sarà su un intervento in merito all’art.21 comma 2 paragrafo 8 per porre rimedio al provvedimento.

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