La Procura di Bologna ha finito di definire le posizioni degli indagati nell’inchiesta sui rimborsi dei consiglieri regionali dell’Emilia-Romagna. Due di loro (Aimi e Bignami) sono stati rieletti nel 2014
La procura della Repubblica di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio per altri 11 consiglieri regionali della legislatura 2010-2014: si tratta dell’intero gruppo del Popolo della libertà. Si chiude così una prima fase della maxi-inchiesta delle pm bolognesi Morena Plazzi e Antonella Scandellari che, coordinate dal procuratore aggiunto Valter Giovannini, hanno scandagliato, tra ricevute e scontrini, le spese e i rimborsi dei politici di viale Aldo Moro.
Il periodo indagato era per la precisione quello tra il giugno 2010 e il dicembre 2011. Le indagini erano state suddivise in diversi filoni, uno per ogni gruppo: a novembre l’avviso di conclusione delle indagini arrivò a 41 membri dell’assemblea regionale appartenenti a tutti i gruppi: Partito democratico, Lega nord, Pdl, Sinistra ecologia e libertà, Federazione della sinistra, Movimento 5 stelle, Italia dei valori e persino il Gruppo misto.
Nelle passate settimane poi i magistrati avevano chiesto per tutti il processo (eccetto Antonio Mumolo e Paola Marani del Pd, per i quali era stata chiesta l’archiviazione delle indagini): mancavano all’appello solo le richieste per quelli del Pdl. Ora si aprirà la fase delle udienze preliminari in cui un giudice deciderà se mandare a processo i politici: l’accusa per tutti è peculato, per avere usato i fondi destinati ai gruppi per spese non inerenti al mandato.
Tra i consiglieri regionali berlusconiani per cui ora i pm hanno chiesto il processo ce ne sono anche due ricandidati e rieletti a novembre 2014 nell’attuale consiglio regionale: si tratta di Galeazzo Bignami, a cui sono contestati circa 35mila euro (circa 4mila euro in meno rispetto a quanto contestato inizialmente dai pm) ed Enrico Aimi (58mila euro). Tra i non rieletti ci sono il capogruppo Luigi Giuseppe Villani, a cui sono contestati 205mila euro, Luca Bartolini (89mila euro), Gian Guido Bazzoni (67mila euro), Fabio Filippi (56mila euro), Andrea Leoni (84mila euro), Marco Lombardi (70mila euro), Mauro Malaguti (53mila euro), Andrea Pollastri (26mila euro) e Alberto Vecchi (40mila euro).
Quella dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna è stata una delle inchieste più eclatanti tra le tante analoghe in tutta Italia. Tra le spese contestate a tutti i partiti (per un totale di circa 2 milioni di euro) figurano interviste a pagamento, regali di compleanno, sex toys, gioielli e costosissimi omaggi floreali, ricevute per parcheggi e scontrini di bagni pubblici, consulenze, soggiorni in hotel e soprattutto pranzi e cene per migliaia di euro. L’inchiesta coinvolse pesantemente soprattutto il Partito democratico anche per la sua netta maggioranza in consiglio. Non solo: la carriera dello stesso Stefano Bonaccini rischiò di essere compromessa quando a settembre, alla vigilia delle primarie per la successione di Vasco Errani, si diffuse la notizia che l’attuale governatore Pd era tra gli indagati per spese di circa 4mila euro non giustificate. L’indagato si fece interrogare e i pm decisero poche settimane dopo di chiedere l’archiviazione poi accordata dal giudice per le indagini preliminari.
Aggiornamento
La Corte d’Appello di Bologna, in data 22 marzo 2024, ha assolto Fabio Filippi dai reati a lui ascritti