Gaffe del presidente della Regione, che ha invitato i suoi dirigenti a "evitare atteggiamenti" simili a quelli del piccolo Alfredo Rampi, che nel 1981 cadde in un pozzo artesiano vicino a Frascati e a nulla valsero i numerosi tentativi di riportarlo alla luce. "E' inaccettabile", protesta il M5S. Il governatore si difende facendo riferimento a una misteriosa “parte non trascritta del mio intervento”
Il governatore abruzzese Luciano D’Alfonso invita i suoi dirigenti e capi dipartimento a “evitare atteggiamenti da Alfredino nel pozzo”, che “si aiuta con i gomiti per uscire fuori, ma non va avanti. Quello che serve è un approccio adulto”. Il riferimento è alla tragedia di Vermicino del giugno 1981: il piccolo Alfredo Rampi cadde in un pozzo artesiano vicino a Frascati, e a nulla valsero i numerosi tentativi di riportarlo alla luce. Una gaffe, quella del presidente della Regione, ingigantita dalla ferita che la vicenda lasciò nell’immaginario collettivo del Paese: tutti ricordano la maratona televisiva, gli appelli, le parole e i respiri strazianti dalle viscere della terra, la commozione del presidente Pertini. Dopo tre giorni elettrizzanti di agonia e speranza, a sessanta metri sotto il livello del mare, Alfredinò spirò, in diretta, gettando nello sconforto una nazione e milioni di bambini di allora.
“È inaccettabile”; “Se qualcuno pensava che definendo il consiglio regionale “una cloaca” il presidente avesse toccato il fondo, si sbagliava” protesta il Movimento 5 Stelle abruzzese. “Mai metafora fu più infelice e sintomatica di scarsa sensibilità verso il prossimo. Luciano D’Alfonso, nei suoi interminabili monologhi in Consiglio, spesso bacchetta il M5S per “l’uso inappropriato delle parole”. Parole gravi quali “questa legge è una vergogna!” – afferma a IlFattoQuotidiano.it Sara Marcozzi, consigliera regionale pentastellata – ma dopo questa sortita sono certa che eviterà di darci nuove lezioni di semantica. Ricordo a D’Alfonso, che ha qualche anno più di me e che rivendica grandi doti mnemoniche, che Alfredino nel pozzo c’è morto”.
Su Facebook deflagra la polemica. “Giuro che mi è arrivato un cazzotto allo stomaco. Chiunque quella storia la ricordi o l’ha sentita raccontare non può che inorridire davanti a un simile paragone. Ma come gli è venuto in mente? Uno scivolone gravissimo, soprattutto per chi è genitore…” scrive Roby. “Se un affermazione del genere l’avesse fatta Grillo, ci avrebbero aperto tutti i tg” commenta Pierluigi. “Ero piccola, e trascorsi la notte a sperare con la mia famiglia di sentire ‘quell’applauso‘, che non arrivò” posta Lorena. “Speriamo che i parenti si facciano sentire”, incita Luciano. “Colpa sua se è morto nel pozzo. Se invece di lamentarsi avesse dimostrato uno spirito positivo e non avesse detto solo “no”, “non riesco ad uscire”… si sarebbe salvato. Bambino gufo”, ironizza Alfio. “Metafora a dir poco squallida”, il pensiero di Baldassarre. Piero: “Allucinante. Vergogna”. Maurizio: “Paragone di cattivissimo gusto”. Enrico: “D’Alfonso, chiedi scusa e dimettiti”.
“Quello che volevo dire era tutt’altro, e cioè: “evitiamo di lasciare soli i dirigenti, tutti i dirigenti, come fu lasciato solo Alfredino nel pozzo. Questo era il senso – spiega D’Alfonso a IlFattoQuotidiano.it – Alfredino cercò disperatamente di aiutarsi con i gomiti: ma solo così, ovviamente, non poteva salvarsi. La stessa cosa vale per i dirigenti regionali: se vengono lasciati in balia di se stessi, sono destinati ad affondare in mezzo alle carte. Invece vanno aiutati da tutti quelli che gli stanno intorno”. D’Alfonso fa riferimento pure a una misteriosa “parte non trascritta del mio intervento”: “Ho detto anche che vicende come quella di Alfredo Rampi mi toccano particolarmente perché il mio paese natale, Lettomanoppello, è disseminato di cave e pozzi, che spesso erano aperti. Tanti bambini vi precipitarono dentro”.