Il presidente dell'Inps ha avvertito che dal 2008 a oggi le famiglie indigenti sono passate dal 18 al 25% del totale, perché la Penisola non ha prestazioni sociali adeguate per contrastare il fenomeno. La ricetta è un reddito minimo da introdurre all'inizio almeno per gli over 55, sui quali è possibile intervenire con le risorse già a disposizione dell'istituto. Caritas: nel mondo 805 milioni soffrono fame
Un aumento di un terzo in sei anni. Le famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà sono passate, durante la crisi, dal 18 al 25% del totale. E le persone coinvolte, che erano 11 milioni, sono salite a 15 milioni. Lo ha detto Tito Boeri, presidente dell’Inps, in audizione in commissione Affari sociali alla Camera. “È la povertà il nodo centrale” per l’Italia, ha avvertito l’economista. “Il 10% più povero nella distribuzione dei redditi ha subito una riduzione del 27% del proprio reddito disponibile, mentre il 10% più ricco della popolazione ha subito una riduzione del 5%”. Quanto al ceto medio, “ha subito una riduzione del reddito del 5%”. A conti fatti, dunque, “i costi della crisi sono sulle persone più povere del Paese”. E sulle più deboli, considerato che la crescita della povertà ha riguardato soprattutto la fascia dai 55 ai 65 anni, i giovani e le famiglie con figli.
Per altro questo declino, ha attaccato Boeri, “non era inevitabile. Altri Paesi che hanno conosciuto crisi di entità comparabile alla nostra”. Qual è il problema, allora? “Noi non abbiamo un sistema di prestazione sociale di trasferimenti alle famiglie che sia in grado di contrastare la povertà”. Oggi infatti solo il 3% delle prestazioni sociali erogate in Italia va al 10% più povero della popolazione. Il quadro italiano degli interventi a favore delle fasce deboli è pessimo: “Gli strumenti di contrasto alla povertà necessitano di una efficiente amministrazione delle politiche del lavoro e delle politiche attive: oggi questa capacità in Italia non esiste, in molte regioni non c’è”.
Dopo i dati, la ricetta. Quella che il cofondatore di lavoce.info ha già proposto più volte: “Le misure di contrasto alla povertà”, a partire da quelle per la fascia 55-65 anni perché “dai 55 anni in su è possibile creare delle misure con le risorse di cui già oggi l’istituto dispone” e senza che ci siano rischi di “azzardo morale” (cioè accesso al beneficio da parte di chi non ne ha diritto) dato che a quell’età quando si perde il lavoro lo si ritrova solo nel 10% dei casi. Questo intervento “non vuole opporsi o essere in contraddizione con quelli di cui necessita la fascia d’età più giovane”, ha spiegato l’economista. Anzi, “l’auspicio è che il governo, supportato dal Parlamento, affronti questo problema. A quel punto davvero si potrebbe avere un sistema di reddito minimo che supporti l’intera popolazione italiana”. Positivo, secondo Boeri, il fatto che l’esecutivo abbia messo una pezza alla grana della mancata rivalutazione delle pensioni impegnando solo 2,1 miliardi e non 18 come avrebbe richiesto la restituzione totale degli arretrati, perché in quel caso “la possibilità di contrastare la povertà sarebbe stata più difficile”.
Proprio martedì la Caritas internazionale ha presentato all’Expo di Milano i dati sulla fame nel mondo, basati sui numeri raccolti dalle 99 Caritas nazionali che operano in 71 Paesi. Le persone che non hanno accesso a cibo sufficiente sono 805 milioni. Secondo lo studio, le prime tre cause dell’insicurezza alimentare sono mancanza di risorse (terra, semi, prestiti, accesso ai mercati) per i piccoli agricoltori, bassa produttività agricola e impatto dei cambiamenti climatici. La ricerca rileva poi come le conseguenze dell’insicurezza alimentare vadano oltre la malnutrizione: la fame ha impatto sul tasso di criminalità, sulla corruzione, sulla diffusione di malattie e disturbi psicologici, sull’aumento dei conflitti tribali e sull’intensificarsi dei fenomeni migratori.