Nella decima tappa del Giro d’Italia, la Civitanova Marche-Forlì di 200 km, l’azzurro della Bardiani-Csf si è imposto in volata davanti a Matteo Busato (Southeast), Alessandro Malaguti (Nippo-Vini Fantini) ed Alan Marangoni (Cannondale-Garmin). Tsabu Gebremaryam Grmay busca 42 secondi, ma fa un balzo in avanti in classifica: ora è 62°
Girum 2015, decima tappa, da Civitanova Marche a Forlì, Romagna bella, dove la bicicletta è regina e padrona delle strade. Duecento chilometri di strada piatta, con salitelle a metà percorso di quelle che si superano in un battibaleno. In teoria, pappa per velocisti. Ed infatti la messinscena della corsa sembra rispecchiare fedelmente il copione. Scappano quasi subito cinque corridori, la novità è che per la prima volta il gruppetto in fuga è composto da soli italiani. Due romagnoli, tre veneti. Il Nord Est d’Italia è la patria delle due ruote. Secondo uno studio commissionato da Renato Di Rocco, presidente della Federazione Ciclisitica Italiana (“Il ciclismo. Report e prospettive di sviluppo economico”),”è il Nord est a comandare, per vendite nei negozi specializzati, la ciclabilità in Italia”. Veneto ed Emilia Romagna sono quelle meglio attrezzate, quanto ad infrastrutture dedicate all’utilizzo della bicicletta. Il cicloturismo, per esempio, offre grosse opportunità di crescita economica e di sviluppo: un euro investito in ciclabilità ne restituisce tra i 4 e i 5 alla collettività intera. In Germania ci sono 7 milioni di cicloturisti che spendono mediamente 1200 Euro l’anno generando un fatturato vicino ai 9 miliardi l’anno. In Francia, il fatturato cicloturistico è di 2 miliardi. Complessivamente, in Europa, l’impatto economico ha prodotto 44 miliardi di introiti, 2 milioni di viaggi e 20 milioni di pernottamenti e sono dati che si riferiscono al 2012.
Da noi, si parla per ora solo di quel che si potrebbe fare. La provincia autonoma di Trento ha sostenuto che i suoi 400 chilometri e rotti di piste ciclabili nel 2009 hanno reso oltre 100 milioni di fatturato. La stima, sempre che si dia via libera ai progetti di piste ciclabili, è che in Italia si possa ottenere un reddito di 3,2 miliardi di Euro. Una mini-manovra. Tuttavia, l’Italia è quindicesima nella classifica delle piste ciclabili in Europa, in un contesto di viabilità penoso, a dir poco. Secondo una recentissima indagine (marzo 2015) dell’Ispra – Istituto pubblico per la protezione dell’ambiente – “sulle principali infrastrutture di comunicazione (autostrade, superstrade, strade statali, tangenziali e raccordi” vi sono 6180 “punti di criticità”. Sono 499mila le frane censite lungo la rete dei trasporti italiani. I soldi che potrebbero essere investiti in piste ciclabili sicure vengono spesi quasi tutti per la manutenzione stradale di una rete sempre più colabrodo. In una città come Milano, andare in bicicletta è sempre più pericoloso: nel 2013 1176 ciclisti ebbero un incidente (sui 17748 nazionali, ossia il 6,7 per cento). Pedalare, come una roulette russa.
Un po’ come la situazione della decima tappa. Che si sta sviluppando in modo diverso dalle previsioni. Il gruppo ha sempre tenuto sotto controllo la fuga dei cinque, non lasciandogli mai prendere più di quattro minuti di vantaggio. Ma i cinque viaggiano ad altissimo ritmo. Via via che il traguardo di Forlì si avvicina, il gruppo rosicchia secondi, però senza mai dare l’impressione di avvicinare i fuggitivi. A 30 chilometri dall’arrivo il loro vantaggio è stabilizzato sui due minuti e mezzo. A venti è di due minuti, a quindici di 1’33”, a dieci è calato solo di altri 13 secondi: i velocisti cominciano a preoccuparsi. I treni delle loro squadre hanno impresso un’andatura che ormai supera i cinquantadue chilometri all’ora, anzi, arriva a 55, ma quelli lì davanti tengono duro. Hanno pure il vento a favore, e poi sono corridori da o la va o la spacca.
Per esempio, il trentenne Oscar Gatto da Montebelluna. Ottimo finisseur: fece il suo primo Giro nel 2007 e lo concluse in ultima posizione. Ma nel 2011 si concesse il lusso di battere all’ottava tappa, da Sapri a Tropea, sua maestà Alberto Contador. Corre per l’Androni Giocattoli-Sidermec, squadra invitata dagli organizzatori. E che dire del venticinquenne Nicola Boem della Bardiani – altra squadra “invitata” – alla sua terza stagione da professionista, un ragazzo dell’89 di San Donà del Piave? Non c’è giorno di questo Girum 2015 che lui non si sia battuto come un leone per entrare nelle fughe, e tentare di portare a casa un successo di tappa. E’ veloce, un ottimo passista, corridore votato al sacrificio. E’ lui che ha più gamba di tutti, in questo gruppetto, che scandisce il ritmo, che incita i compagni di fuga a non desistere. All’Amstel Gold Race del 2014 rimase 225 chilometri in fuga prima di essere riacciuffato…capite il tipo?
Non scherza nemmeno Alan Marangoni, 31 anni. Di Lugo di Romagna, dunque la tappa si conclude non lontano da casa… Corre per la Cannondale-Garmin: tarella come un dannato, è stato campione italiano dell’inseguimento individuale, ha vinto il titolo azzurro nella crono riservata agli under 23. Tecnicamente l’ideale per resistere all’arrembaggio del gruppo. Pesta sui pedali con lena anche Matteo Busato da Castelfranco Veneto, 27 anni, schierato al Girum dalla Southeast (invitata pure essa…) del vecchione Alessandro Petacchi. E’ esperto e adatto alle corse vivaci, così dicono i suoi. Infine, Alex Malaguti, 27 anni, il più motivato di tutti perché è nato proprio a Forlì. Indossa la maglia della Vini Fantini-Nippo, altra squadra outsider che è stata invitata dagli organizzatori del Giro. Ha caratteristiche da velocista. Arrivassero in volata, se la vedrebbe con Gatto e con Busato. Per questo, medita il colpaccio. Conosce il finale, e le sue curve secche. Può sorprendere i compagni di fuga e…
A dodici chilometri da Forlì, Gatto fora. Oscar della scarogna. Prova a riprendere gli altri quattro. Non ce la fa. Si rialza. Il gruppo lo inghiotte alle 16 e 50. A cinque chilometri dal traguardo, l’imprevedibile. Buca Richie Porte: nel momento peggiore, quando il gruppo rolla a sessanta all’ora per riacchiappare i fuggitivi. Cambia la bici, lo aspettano in tre della Sky, ma non riesce a riagganciare il plotone. Anzi, talvolta perde le ruote dei compagni Sky. Qualcosa vorrà pur dire. Sono quasi tre mesi che il tasmaniano corre ad altissimo livello. Che sia arrivato il momento della parabola discendente? “Sarebbe triste se il Giro venisse deciso da un incidente meccanico”, dicono col fiele in bocca alla Sky. Già, che dovrebbe dire allora Contador?
In testa alla corsa, i quattro hanno capito che la loro fuga è destinata ad arrivare al traguardo. A due chilometri hanno 50 secondi di vantaggio. Marangoni tenta il tutto per tutto e scatta a 1400 metri dal traguardo. Piglia quaranta, cinquanta metri di vantaggio. Boem non si scoraggia. Spinge il rapportone, piano piano si avvicina ad Alan, lo raggiunge, lo supera, vince. Batte Busato, terzo è Malaguti a due secondi, quarto Marangoni, a 4”. Il gruppo è regolato in volata da Giacomo Nizzolo, a 18 secondi da Boem. Nizzolo è uno che spiega le corse come in volata, con grande lucidità: “Per noi velocisti è stata un’occasione mancata. La fuga sembrava sotto controllo. Invece è stata una fuga intelligente, ci stavano davanti, ma non troppo, e ci hanno illuso che si sarebbero fatti riprendere. Non ne siamo stati capaci”.
Nicola Boem è in fuga da sempre, scappare è il suo marchio di bottega: “Ci credevo fin dall’inizio di questo Giro che sarei riuscito a vincere almeno una tappa. Non immaginavo di riuscirci in quella più banale di tutte, tanto era scontato che fosse bottino dei velocisti. Lo sognavo fin da bambino. Io do l’anima ogni volta per entrare in fuga e per aiutare i compagni”. Conquista anche la maglia rossa della prestigiosa classifica a punti, dedica la vittoria alla sua ragazza perché non ha mai smesso di incitarlo, “dài che prima o poi ci riuscirai”.
Richie Porte arriva coi suoi palafrenieri della Sky, a 1’05” da Boem, perde 47 secondi dalla maglia rosa (il numero, per la Smorfia, vuol dire morto che parla…). Adesso in classifica ha un ritardo di un minuto e 9 secondi da Contador, sempre più sorridente e rilassato. Solo Aru è incollato alla sua maglia rosa, a tre piccolissimi secondi. Uran Uran e Porte accusano distacchi importanti, e ancora il “vero” Giro deve cominciare. Oggi l’Astana di Aru ha evitato di spremersi, dopo tutta la fatica spesa per cercare di mettere in difficoltà El Doloroso, che continua ad aver male all’omero e che ha visto arrivare suo padre Francisco, che di professione faceva il carpentiere.
Abbiamo trascurato l’amico etiope. Routine di giornata. Nel finale Tsabu Gebremaryam Grmay busca 42 secondi (i gruppetti dopo il plotone dei migliori, arrivano sfilacciati), è in un gruppo con altri 67 corridori, Porte è 150esimo. In classifica, comunque, buon salto in avanti per Tsabu: è 62esimo, a 49’18” da Contador. Peccato che sia undicesimo nella classifica dei migliori giovani, dopo essere stato vicino alla vetta. Però sono in tre in meno di un minuto, Sebastian Henad Gomez, il nono, lo precede di 51 secondi, mentre Silvan Dillier di appena 23. Basta che non pigli alla lettera il vecchio detto: “Maggio, vai adagio”…