Qualche giorno fa sono stato ospite a un evento del Salone del libro di Torino. Ho presentato il mio libro “La Guerra a Casa”. L’Evento si è svolto nella Casa del Quartiere si San Salvario, storico luogo di multiculturalità, dove persone di oltre 100 nazionalità convivono e condividono la vita. Il libro che ho scritto narra del femminicidio che ha strappato da questa terra la mia unica sorella Tiziana, a 36 anni. Parla delle violazioni dei diritti umani che ho incontrato sul cammino della mia vita con Soleterre, in particolare delle Guerre, che hanno nomi diversi a seconda dei luoghi e delle “ragioni”- dei Balcani, dei diamanti, per le risorse – ma significano sempre sofferenza, dolore, offesa della dignità umana. Tutte le violazioni dei diritti umani hanno infatti un minimo comune denominatore: la violenza. Contro innocenti, molto spesso. Innumerevoli volte contro le donne. Discriminate in ogni angolo del pianeta. A un certo punto, nello spazio dedicato alle domande e al confronto, un professore di filosofia di un liceo cittadino ha preso parola raccontando di come non riesca a spiegare, specie ai suoi allievi di quarta classe, cosa significhi “liberarsi da”, lottare per un ideale di liberazione. Mi ha molto colpito perché il professore sosteneva che i suoi allievi sono capaci di comprendere cosa sia il liberalismo ma non riescono a collocare nel loro deposito di memorie semantiche l’idea che si possa “lottare” per liberarsi da qualcosa. Capiscono il liberalismo ma non la libertà. Lo ha ripetuto più volte. Guardando verso il cielo. “Non riesco a fare comprendere loro che i diritti sono tali perché qualcuno ha lottato per il loro godimento universale”.
Mi sono chiesto se fosse solo un problema del nostro professore, un problema generazionale o una diretta conseguenza del periodo storico che stiamo vivendo. Ho pensato che le attività di liberazione dalle tante “catene” che impediscono la piena partecipazione del diritto alla propria identità per una donna italiana sono ad esempio passate anche dal potere usare il proprio cognome (per una moglie italiana impossibile sino al 1975) o diventare magistrato (nulla sino al 1963) o essere condannate per adulterio (non più reato nel 1968) o finalmente vedere riconosciuto che la violenza sessuale è un reato contro una persona e non contro la morale (solo nel 1996).
Concludeva il professore dicendo che in questo modo si rischia di non comprendere il valore della dignità umana.
Tornando in treno ho pensato a questa conversazione leggendo dell’ennesimo atto di barbarie per cui “Non si è mai vista una negra che prende 10 a Diritto” insieme ad altri sei messaggi razzisti anonimi ricevuti nell’ultimo mese da una studentessa di 14 anni, nata in Italia da genitori senegalesi, che frequenta la prima classe di una scuola superiore di Pisa. Leggendo che i compagni razzisti avrebbero scritto che “non esiste che una negra possa diventare avvocato, firmando ogni lettera con ‘Avvocato’ seguito dal mio nome. Se la sono presa anche con la professoressa, accusandola di favorirmi a causa del colore della mia pelle, ma lei ha sempre risposto che premia solo il merito”.
Ho pensato al professore che cerca di insegnare la libertà, alla donna “negra” quindi due volte punita perché donna e perché con la pelle di un altro colore. Ho pensato che la realtà in cui viviamo ha ancora dei grossi limiti che occorre superare. Con l’educazione dei nostri sentimenti. Un’educazione che riporti l’essere umano alla sua dimensione umana demitizzata da eroismi e illusioni. Una lezione semplice che possa riportare al centro dell’interesse la dignità umana. Senza troppa accademia lo cantava Bob Marley in War: “Finché la filosofia che considera una razza superiore e un’altra inferiore non sarà finalmente screditata e riprovata…Finché in nessuna nazione vi saranno più cittadini di prima e di seconda classe… Finché il colore della pelle di un uomo non avrà più valore del colore dei suoi occhi… Finché i diritti umani fondamentali non saranno ugualmente garantiti a tutti, senza distinzione di razza…Fino a quel giorno, il sogno di una pace duratura, la cittadinanza del mondo e le regole della morale Internazionale resteranno solo una fuggevole Illusione, perseguita e mai conseguita…Fino a quel giorno ci sarà la guerra.”