L'ex giornalista di Quinta Colonna, in un'intervista al Tempo, spiega la sua versione dei fatti: "Avevo detto al tunisino di realizzare un finto furto. Lui era un vero ladro, ma non volevo essere responsabile di un reato. L'accordo era che alla fine del servizio si dicesse la verità"
La redazione di Mediaset era a conoscenza dell’esatta dinamica dei fatti. E non c’è stato alcun pagamento. Fulvio Benelli non ci sta ad essere accusato di aver realizzato un servizio falso e di aver pagato una persona per interpretare una parte. Dopo il licenziamento da Mediaset, a seguito delle segnalazioni di Striscia la Notizia, l’ex giornalista di Quinta Colonna dà la sua versione dei fatti rilasciando un’intervista a Il Tempo.
Prima di tutto sostiene di non aver mai pagato nessuno per fingersi qualcun’altro: “A questo ragazzo ho offerto al massimo un pranzo da McDonald’s. Anche Striscia si è dissociata dicendo che “è lui a parlare di soldi””. Benelli ritiene di essere lui stesso vittima di una truffa. E inizia a raccontare: “Tutto inizia nei primi giorni di aprile. Mi trovo in provincia di Treviso quando ricevo una telefonata di Mario Giordano, direttore del Tg4. È il giorno dopo l’uccisione di 148 studenti in Kenya. Vuole che vada a cercare islamici moderati e radicali e realizzi un vox populi”.
Quindi il giornalista sostiene che a Mestre gli si avvicina un uomo che gli chiede di essere intervistato: “Mi spiega di essere tunisino e che l’Islam fa bene a uccidere gli infedeli”. L’uomo continuava a dire di avere cose interessanti da rivelargli: “Gli do il mio numero e vado a montare il servizio che viene spedito a Roma e, dopo essere stato visionato, mandato in onda”. A quel punto il soggetto lo chiama: “Dice che può raccontarmi come i rom truffano le persone e rubano le macchine. La storia mi sembra buona e ne parlo in redazione».
I superiori quindi decidono di mandarlo di nuovo a Mestre: “Il tunisino viene a prendermi e mi porta nella casa che lui occupa abusivamente. Si vanta perché ruba, ma nessuno gli fa niente”. A quel punto Benelli spiega la dinamica che segue: “Gli chiedo se mi può far vedere come fa realmente. Lui fa una serie di telefonate finché trova un venditore. A questo punto si offre di rubare veramente una macchina ma io, per non essere responsabile di un reato, gli dico di realizzare un finto furto utilizzando la macchina dell’operatore». Ma non è una truffa?«No, la storia è vera. Documentata. Ma non potevo fargli rubare veramente una macchina, anche perché non sapevo cosa sarebbe successo».
A questo punto Benelli sostiene che la redazione sapesse come stavano esattamente le cose: “L’accordo era che Paolo Del Debbio, finito il servizio, dicesse che nessuna macchina era stata rubata e che il nostro intento era solo quello di “educare” i cittadini mettendoli in allerta su questo tipo di truffe. Ma non lo fece”.
Poi è arrivato il licenziamento: “All’inizio sono rimasto choccato. Ho chiesto di poter parlare con Antonio Ricci ma mi hanno sconsigliato di farlo. Nel comunicato dell’azienda si accredita la versione che si tratti di un finto rom e di un finto truffatore. Chiedo spiegazioni ma non ne ricevo. Nella lettera di licenziamento si dice addirittura che io abbia ammesso le mie colpe. Ma quando? Non mi hanno voluto nemmeno sentire. Ora andrò in tribunale a far valere le mie ragioni. Non ho pagato soldi e non ho taroccato nulla».