Un nuovo editore per il quotidiano Il Tempo: la famiglia Angelucci. Nella trattativa, agli sgoccioli, i proprietari di Libero mettono sul piatto una cifra che si aggira intorno ai 15 milioni di euro. Milione più, milione meno. I “re delle cliniche private” – se ne contano 25 in Italia – puntano dritto sul quotidiano romano, rilevandolo dal “re del mattone” Domenico Bonifaci, che tra beghe e debiti tenta di venderlo. Sono anni ormai che il giornale romano del centrodestra è in crisi: le edizioni locali sono chiuse e s’è avviata una forte ristrutturazione aziendale. Si paventa anche l’ipotesi di una richiesta di concordato preventivo da parte di Bonifaci. Ipotesi che potrebbe far gola ad Angelucci perché acquisirebbe il giornale a un valore stracciato.
Con l’arrivo degli imprenditori della sanità potrebbe profilarsi uno scenario che vede Libero soccombere, con un suo progressivo svuotamento (è costoso tenerlo in vita, soprattutto da quando il dipartimento dell’editoria ha chiuso i rubinetti dei contributi) in favore de Il Tempo, portando così a Piazza Colonna editorialisti di peso, sui cui nomi, al momento, c’è il massimo riserbo. Certo è che per Angelucci, il cui core business è concentrato principalmente nella Capitale, scalare il diretto concorrente de Il Messaggero è un affare di grande impatto. Il Tempo – che fu diretto da Gianni Letta – passa di dinastia in dinastia. È il 1996 quando Bonifaci lo compra per 70 miliardi di lire da un altro “re” di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore e proprietario del gruppo de Il Messaggero. Primo direttore della testata romana della nuova era è Maurizio Belpietro. Ma viene licenziato dopo sei mesi.
Antonio Angelucci e Domenico Bonifaci hanno in comune molte cose. Entrambi abruzzesi, entrambi trapiantati a Roma da tempo incalcolabile, sono imprenditori di lungo corso – uno del mattone, l’altro della sanità – e hanno in comune anche la passione per l’editoria. C’è anche un altro dettaglio in comune: i guai giudiziari. Bonifaci, classe 1937, self made man con la licenza elementare, era l’uomo della “provvista” costituita per la maxi tangente Enimont: Sergio Cusani si rivolse a lui per ottenere 142 miliardi di fondi neri, utili a Raul Gardini per uscire da Enimont. Bonifaci patteggiò e pagò 50 miliardi di lire.
Angelucci padre, classe 1944, un po’ più istruito del suo collega – ha la licenza media – è il presidente di Tosinvest Spa, holding con indirizzo in Lussemburgo, che controlla tutte le attività di famiglia. Il pallino per i giornali lo spinge a entrare nel mondo dell’editoria. È il 1998: acquista il 24,5% delle quote de L’Unità, ma ne esce due anni dopo, durante la liquidazione del giornale. La passione per i giornali è tale che, dopo l’avventura al quotidiano fondato da Gramsci, gli Angelucci fondano Il Riformista e rilevano Libero. La famiglia Angelucci entra nel mirino dei magistrati di Bari per corruzione che ha condannato in primo grado Raffaele Fitto e Angelucci junior. Secondo i giudici, l’ex governatore pugliese riceve un finanziamento di 500mila euro dall’imprenditore Giampaolo, ultimo figlio di Antonio, presidente di Tosinvest sanità che, in cambio, s’aggiudica un appalto, per sette anni, da 198 milioni di euro per la gestione di 11 residenze sanitarie.
I fatti contestati risalgono al periodo che va dal 1999-2005, quando Fitto era presidente della Regione Puglia. Ora il reato è prescritto. E un’ultima indagine riguarda proprio l’attività editoriale di famiglia: è il 2013 quando Angelucci senior viene indagato per i contributi pubblici incassati da “Editoriale Libero” ed “Edizioni Riformiste”. Contributi “doppi” e quindi illeciti, secondo l’accusa, che iscrive il parlamentare nel registro degli indagati con l’accusa di falso e truffa aggravata: per la Gdf, le due società avrebbero dichiarato di appartenere a editori diversi, aggirando così l’obbligo, per ciascun imprenditore, di chiedere finanziamenti per un solo giornale. Dopo il fallimento del Riformista, però, gli Angelucci tornano alla carica: ora puntano a Il Tempo diretto da Gianmarco Chiocci.